La famiglia Schroffenstein

1988-1989

LA FAMIGLIA SCHROFFENSTEIN di Heinrich von Kleist

Traduzione di Ervinio Pocar


Adattamento e regia  Massimo Castri

Scene e costumi  Maurizio Balò

Musiche  Bruno De Franceschi

Realizzazione luci Emidio Benezzi


Interpreti : Piero Di Iorio (Ruperto), Nicoletta Languasco (Eustachia), Massimo Popolizio (Ottocaro), Mauro Malinverno (Giovanni), Enrico Ostermann (Silvio), Eros Pagni (Silvestro), Leda Negroni (Geltrude), Laura Montaruli (Agnese), Valerio Andrei (Gerolamo), Gaetano D’Amico (Aldöbern), Francesco Migliaccio (Santing), Piero Domenicaccio (Fintenring), Giancarlo Sorgi (Theistiner), Vera Rossi (Barnaba), Gigi Castejon (Un cappellano)


Produzione: Centro Teatrale Bresciano

Debutto: Trieste, Teatro Politeama, 21 aprile 1989 (anteprima della critica, Mantova, Teatro Sociale)


Note:

Ripresa 1989-1990

Debutto: Modena, Teatro Storchi, 22 novembre 1989.

Paolo Musio sostituisce Massimo Popolizio, Ruggero de Daninos sostituisce Eros Pagni, Giovanni Visentin sostituisce Francesco Migliaccio.

Castri riceve il Premio Ubu 1988-1989 alla regia per gli spettacoli La famiglia Schroffenstein e Il Berretto a sonagli. 

Intervista a Massimo Castri

Massimo Popolizio, Laura Montaruli, Vera Rossi ph_Buscarino ACTB

“Quello che è interessante è proprio la pluralità dei linguaggi che ci sono dentro, però forse la natura più sotterranea, più onnicomprensiva del testo è quella di una sorta di fiaba. Una fiaba che un bambino adulto, come in effetti rimane sempre Kleist, si racconta per esorcizzare le proprie paure. Sono le paure di non comunicare, di aprire la porta per cominciare a uscire nella vita e trovare una realtà che non sai leggere, per cui ogni gesto che farai per conoscerla sarà un gesto sbagliato. Paure che gli nascevano da una lettura fiabesca di Kant che Scardina la sua cultura illuministica, tutta basata sulla ragione, sulla capacità analitica dell'occhio dell'uomo nei confronti della realtà”.

Gianni Manzella, Non c'è il mondo, in  “il manifesto”, 24 aprile 1989

Dalla rassegna stampa

Laura Montaruli, Leda Negroni, Ruggero De Daninos, Valerio Andrei, Paolo Musio ph_Peterle ACTB

In questo Kleist "sconosciuto" allignano insomma interessi e seduzioni insospettate, e la regia di Castri le raccoglie tutte ordinandole in una grande eleganza visiva che non nasconde ascendenze e citazioni, e che reinventa in un linguaggio squisitamente teatrale i motivi stessi del testo. Con significativi riferimenti all'Urfaust di qualche anno fa: anche Goethe diveniva atroce gioco di "doppio". Due enormi scalinate si allargano nelle due metà del palcoscenico, ritagliate e "messe a fuoco" da pareti verticali. Su quei gradini si muovono, in giallo il ramo di Warvand e in rosso quello dei Rossitz, i protagonisti, quali pedine di una Partita a scacchi, come a Marostica o in quella elisabettiana. Anche perché a Giulietta e Romeo sono ispirati i due giovani che inutilmente, e pagando con la vita, tentano di porre fine al tormento familiare. E a Shakespeare, ai suoi mondi fatati ma più veri del reale, attinge ancora il testo, dando l'occasione a Castri per regalarci  montagne boscose dove, sempre meno sospettosi, avvengono gli incontri fra i due giovani (Laura Montaruli e Massimo Popolizio, palpitanti e bravissimi) dove il sole fiammeggiante e velato di nebbia o la luna è disegnata da nuvole che si rincorrono. L'atmosfera fiabesca, scandita da intermezzi operistici composti da Bruno De Franceschi, si offre così allo spettatore come un gomitolo delle Parche il cui bandolo si snodi tra illusioni, tentazioni e dolori, ma comunque in maniera non controllabile. Si può sorridere del "destino" e di quella sciocca famiglia, ma il prezzo dell'umanità vale l'intero gioco. Parabola fiabesca di rigore geometrico, quella della Famiglia Schroffenstein è la vicenda di un gioco al massacro i cui protagonisti numerosi negano tutti, il nome dei sacri valori dell'amore e degli affetti, il proprio essere uomini. Cantano arie e concertati esprimendosi insieme allo spazio che, come in un film analitico alla Hitchcock si allarga e si restringe seguendo il loro ansimare ".

Gianfranco Capitta, Parabola fiabesca di un gioco al massacro, in “il manifesto”, 23 aprile 1989. 

Laura Montaruli, Paolo Musio ph_Peterle ACTB

Eros Pagni ph_Buscarino ACTB

Nella sua Famiglia il regista piega così ad un grottesco angusto, meschino, i timori da romanzo poliziesco che Geltrude nutre come se abitasse in casa Borgia. Oppure fa di Silvestro (un eccellente Eros Pagni) il confuso, vacillante, stordito, portatore di dubbi domestici prima che si inneschi la catena di vendette: tra la dabbenaggine e il deliquio, non può non presentarsi come un ridicolo difensore della ragione. Ma più ancora è gustosamente deformato il Ruperto di Piero di Iorio: abietto prima di tutto perché  crucciato, malaticcio, nauseato, patetico per una malvagità praticamente burocratica che si odia; mentre le due mogli, l’ Eustachia di Nicoletta Languasco e la Geltrude di Leda Negroni danno ai tormentoni familiari un'agitazione da commedia borghese".

Sergio Colomba,  Scene da una faida, in “Il Resto del Carlino”, 23 aprile 1989

Bozzetti dei costumi di Maurizio Balò

BIBLIOGRAFIA

Heinrich von Kleist, La famiglia Schroffenstein: tragedia in cinque atti traduzione di Ervino Pocar; riduzione in 3 tempi scenici a cura di Massimo Castri, Brescia, Centro Teatrale Bresciano, s.d.