Lo spazio

La concezione dello spazio scenico viene modellata in modo funzionale rispetto al lavoro di drammaturgia. Nella collaborazione costante e quasi ininterrotta con Maurizio Balò, a partire dal primo spettacolo, si possono cogliere alcune costanti: serialità, ripetizione e variazione, un principio volto a generare un senso di straniamento e di deviazione dalla norma, dall'aspettativa, ispirato alle logiche "impossibili" della pittura surrealista di Magritte e Delvaux, con gradi diversi di spostamento dal reale all'onirico. Castri collabora anche in modo assiduo con Claudia Calvaresi, con Tobia Ercolino per il Progetto Euripide e con Antonio Fiorentino per I Rusteghi.

In tutto il percorso si percepisce con intensità il valore drammaturgico delle scelte spaziali volte a tradurre o a rivelare un senso e a sintetizzarlo in un unico gesto. È spesso rintracciabile una matrice pittorica nelle scelte visive, con particolare attenzione ad alcuni artisti prediletti.  

Dalle prime regie dei testi legati alla crisi del dramma borghese, lo spazio viene impostato per sottolineare la tensione dei rapporti personali e familiari di matrice strindberghiana. Tale tensione è rappresentata da Castri/Balò in una serie di stanze e spazi chiusi, regolati visivamente da rapporti simmetrici, spesso dotati di pareti chiare che, con le varianti dei casi specifici, mettono in evidenza la situazione claustrofobica e la complessità dei legami che uniscono i personaggi. Queste "stanze della tortura" (Giovanni Macchia) sono spazi progettati per svelare un sottofondo nascosto, producendo uno scarto dal reale e dall'atteso: linee regolari, tavolozze che si prestano a trasformazioni e a diventare spazi di proiezione di ombre e immagini oniriche che sono pronte a virare verso l’incubo e a ospitare i fantasmi dell’inconscio. 

Sono stanze che accolgono come segni di realismo uno per volta i resti del salotto borghese che è imploso, quelli sopravvissuti allo scavo del testo fatto da Castri: una poltrona, un letto, un tavolo, un lampadario. Oggetti che permangono come isole in un deserto anche quando la casa scompare e il luogo è dichiaratamente astratto (Edipo, Fantastica Visione, Vestire gli ignudi, ma anche, molto dopo, la versione del paesaggio spoglio e quasi lunare attorno al tavolo di Tre sorelle).

A volte la stanza realistica subisce una trasformazione "strutturale": lo spazio in Rosmersholm, per esempio, con un gesto unico riassume e sintetizza la chiave registica dello spettacolo. La stanza matrimoniale tagliata in due e ricomposta accostando le due metà speculari, traduce visivamente l'interiorità dei personaggi che vivono per Castri un rapporto di simbiosi quasi gemellare (come una divisione dell'io) in due stanze divenute "da bambini", perché non sono in grado di affrontare un rapporto adulto. 

Spesso la trasformazione della scena implica la rotazione delle pareti che cambiano il punto di vista; con piccole variazioni nella disposizione degli elementi, ma negando la visione dell'esterno e accentuando la sensazione della chiusura, dell'essere in trappola (Ragione degli altri, Così è se vi pare 1991, Il Padre). Questo effetto sarà esasperato dall'uso del piano sequenza e dell'inquadratura.  

Si moltiplicano invece le aperture: in questi luoghi chiusi le porte aumentano, sono spazi in cui i personaggi si trovano assediati (Vita che ti diedi, Edipo, Così è (se vi pare) 2007), in una versione angosciante e claustrofobica o in quella che vira verso l'esasperazione del vaudeville. Il tema della soglia torna importante in rapporto agli spazi della tragedia. Sono porte sovradimensionate quella in Elettra (1994), che arriva a chiudere tutto l'arcoscenico dopo il matricidio, e quella della reggia di Alcesti (2006) che prima campeggia sullo sfondo poi scompare improvvisamente, negando la via di fuga e creando un altro spazio-trappola. 

Un altro gesto di straniamento spaziale che si ritrova in diversi spettacoli riguarda l'ambientazione in luoghi di passaggio, spazi transitori (cortili, corridoi, scale) che raccontano la precarietà e la provvisorietà della condizione dei personaggi o ne svelano l'aspetto intimo e privato, al margine, fuori dal contesto delle convenzioni sociali. Spazi angusti delle case a volte trasformati in veri e propri labirinti in cui i personaggi si inseguono senza trovarsi o si affrontano in vere e proprie rese dei conti (Vita che ti diedi, Trachinie, Il gioco dell'amore e del caso, Le avventure e il ritorno dalla villeggiatura).

L'invenzione scenografica coinvolge anche la percezione dello spettatore: le soluzioni visive richiamano il movimento cinematografico con cambi imprevisti di punto di vista o con trasformazioni spaziali che traducono vere e proprie carrellate avvicinando o allontanando lo spettatore dalla scena (Trachinie, Il piacere dell'onestà, Il gabbiano, Orgia, John Gabriel Borkman, Quando si è qualcuno).

Un altro tema ricorrente, declinato in modi diversi è quello della natura: prati e giardini realistici e soggetti al variare delle stagioni (Madame de Sade, Il gioco dell'amore e del caso) o stilizzati, a volte quasi fumettistici (Quando si è qualcuno, Porcile). A volte, invece, si tratta di una natura negata e desertificata.  

La natura si scontra con la civiltà nelle scenografie che sviluppano il tema delle rovine e che bekettianamente conducono al deserto (Ecuba 1994, Ifigenia 2000, Ecuba 2006, Tre Sorelle).

Il gioco dei linguaggi della scena, il metateatro, è un altro tratto che emerge in molte soluzioni d'immagine e spesso rende visibile il discorso critico di Castri sulla crisi delle forme della drammaturgia e sull'evoluzione dei linguaggi, tradotta in un montaggio o, più spesso, in uno smontaggio degli elementi scenici, fino a rivelare il palcoscenico vuoto (Il Piccolo Eyolf, John Gabriel Borkman, Questa sera si recita a soggetto).

«C'è anche qualcosa di più all'interno di quella scelta spaziale: c'è il tentativo di far implodere il modello d’edificio teatrale all'italiana che è appassionante, ma forse non più capace di raccontare ciò che noi vorremmo, rifacendosi alla percezione per prospettiva e a una situazione sociale ormai scomparsa. Con questo segnale vorrei anche indicare la necessità che il teatro non fosse più un qualcosa da distribuire, come un oggetto realizzabile, ma ritrovasse la sua funzione forte di evento unico e irripetibile: non "sacrale", certo, ma tra "evento” sul piano umano e culturale». 


Andrea Porcheddu, Euripide: lo stupore e l'empatia. Intervista con Massimo Castri, "Primafila", novembre  1994, p.68

Castri guarda all'uso dello spazio cercando di forzare i limiti imposti dalla struttura della sala all'italiana. Questo percorso è più marcatamente leggibile negli allestimenti di Euripide, su cui comincia a lavorare all'Atelier della Costa Ovest avendo a disposizione piccoli teatrini o spazi non tradizionali. Le soluzioni creative trovate resteranno anche negli allestimenti successivi. Elettra, Oreste, Ifigenia in modi diversi reinventano il normale rapporto sala/platea. Si tratta di allestimenti sperimentali anche per il tipo di fruizione proposto al pubblico, destinati alla stanzialità e ad un numero ristretto di spettatori, riescono tuttavia ad avere lunghe teniture.

Oltre ai progetti site specific (Fedra, Ecuba 2006), alcune soluzioni sono possibili in spazi duttili e trasformabili, come il Fabbricone di Prato, che viene riallestito in modo diverso a seconda degli spettacoli. Oltre ai citati spettacoli euripidei, è da ricordare Fede, speranza, carità, ambientato in una città-giocattolo, di forte evidenza plastica, case e strade in miniatura e in movimento ispirate a De Chirico e Sironi.

Foto copertina: modellino scenografico di Maurizio Balò per Così è (se vi pare), versione televisiva RAI 1991