J.G. BORKMAN

1987-1988

J. G. BORKMAN di Henrik Ibsen

Traduzione di Anita Rho


Regia  Massimo Castri

Scene e costumi  Maurizio Balò

Musiche  Giancarlo Facchinetti

Luci Venanzio Ugolini


Interpreti: Tino Schirinzi (John Gabriel Borkman), Delia Bartolucci (Gunhild Borkman), Alessandro Baldinotti (Erhart Borkman), Wanda Benedetti (Ella Rentheim), Fiorenza Marchegiani (Fanny Wilton), Alarico Salaroli (Vilhelm Foldal), Vera Rossi (Frida Foldal), Carla Manzon (Cameriera)


Produzione: Centro Teatrale Bresciano

Debutto: Brescia, Teatro Grande, 9 marzo 1988


Note:

Nella stagione 2001-2002, a distanza di tredici anni, Castri realizza un "Re-Make" dello spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile di Torino.

Intervista a Massimo Castri

Il ‘Borkman’ non è una scelta voluta in tutti i modi, ma è una scelta che mi diverte. Quello di Ibsen è un teatro che mi interessa e tra i testi della tetralogia finale di Ibsen, il ‘Borkman’ mi è parso il più poetico e strano, perché mi sembrava possibile dare una lettura del testo completamente diversa da quelle solite, in chiave antropologico-sociologica, in chiave di superominismo, mi sembra che invece si tratti di una storia molto bella, umoristica, comico-patetica.

È una storia di vecchi e mi affascinava questa patina di vecchiaia che attraversa tutto quanto il testo. Il ‘Borkman’ è una trasposizione lirica e insieme ironica della vecchiaia di Ibsen che si fa un autoritratto, non in termini ideologici o tematici, ma in termini di partecipazione, di adesione e scontro con questo problema della vecchiaia che gli sta arrivando addosso.

In ‘Borkman’ si trovano però tutti i temi ibseniani: il rapporto impossibile tra uomo e donna, tra passato e presente, tra produrre e procreare....

Ibsen in fondo è un autore che riscrive sempre lo stesso testo, i temi riguardano sempre l'impossibilità di raggiungere la felicità, c'è un'impostazione prefroiudiana nelle sue opere, di disagio della civiltà. Però questi temi in ‘Borkman’ sono come allontanati, straniati, minimalizzati e resi più trasparenti, più lievi, forse in qualche modo anche ironizzati, perché visti in quest'ottica della vecchiaia, di una sorta di fiaba con personaggi vecchi e dentro una scansione che mi sembra anticipi più che in altri testi certe caratteristiche del teatro del Novecento tra Pinter e Beckett. Mi interessa soprattutto questa possibilità di leggere il testo al di fuori delle ideologie e delle strutture tematiche, leggerlo come il trasformarsi del mondo ibseniano in una grande fiaba dentro la quale si rasserena quel mondo lacerato e ferito.

Non un Ibsen dai toni cupi, ma un Ibsen che riconquista la serenità?

Sì. qui il tema del passato che incombe sul presente e rende impossibile il vivere è ironizzato, i personaggi sono tutti vecchi, non hanno un futuro da vivere, non c'è niente da uccidere, quindi anche il passato che ritorna riemerge in maniera diversa, come un rimpianto dolce e non più terribile. Ovviamente i rapporti tra questi personaggi sono quelli comico-patetici che sono tipici dei vecchi, tutte le loro piccole beghe diventano comiche ed insieme tragiche, e su questa via ci riporta ancora a certi archetipi di rapporti che sono in Beckett, che sono quelli di Vladimiro e Estragone.

Un altro tema affascinante è quello dello scavalcamento dell'età adulta, il protagonista è infatti un vecchio che riesce a ricongiungersi con la propria infanzia. C'è poi il divaricarsi dei mondi dei personaggi in mondi comicamente separati: cioè il mondo delle donne che sono bloccate in una loro drammaticità svuotata e continuano a lottare per un uomo, d'altra parte ci sono i giovani che prendono la tangente di una via di fuga verso un mondo senza più valori, senza contraddizioni, vanno verso l'edonismo, il piacere.

Francesco De Leonardis, Ritratto dell'autore da vecchio, in "Bresciaoggi", 6 marzo 1988.

Wanda Benedetti, Fiorenza Marchegiani, Delia Bartolucci, Tino Schirinzi ph_Buscarino ACTB

Dalla rassegna stampa

Tino Schirinzi, Delia Bartolucci ph_Buscarino ACTB

Il suo John Gabriel Borkman è un vecchio grottesco, dietro il cui presente è difficile pensare ad una figura di costruttore. È un vecchio querulo e dispettoso, enfatico, rancoroso e velleitario, che crede di poter restaurare il passato, rispolverandone i sogni maldestri. È in atto una specie di regressione all'infanzia; quantomeno, l'uniforme che egli indossa a ricordo dei tempi di gloria è una mascherata; sotto di essa egli balbetta i propri progetti incapace di normalizzarsi nel quotidiano, la cui tristezza non lo tocca più. Borkman non si piega su se stesso, ma corre con allegria cocciuta e bambina verso un futuro inesistente. In questo suo incosciente e irresponsabile agire c'è una crudeltà verso gli altri che è solo incoscienza folle. C'è qualcosa di patetico in questa sua allucinazione. La figura di Borkman perde qui certe sue caratteristiche di durezza, di cinismo e di imperiosità da manager, per acquistare tutta una umana fragilità. È un'impostazione che accetta, sottesa, la pietà, mentre accompagna il vecchio clown alla sua fine serena, che è quasi una benigna e benedicente sua sottrazione agli affanni di una vita ieri spezzata e oggi immaginaria e inconcludente. La lettura di Castri stimola una regia mossa, variamente e fermamente modulata, coordinata a una liricità dai mutevoli toni, ad una ironia squisita di atteggiamenti e riferimenti; a un modo dell'attore di interpretare in, infine, che è distaccato dal personaggio: l'attore è come se gli stesse dietro, a suggerirgli il ‘dovere’ del ruolo (o l’ implicita condanna esistenziale)". 


Odoardo Bertani, Il groviglio di Borkman, in “Avvenire”, 11 marzo 1988

LA SCENA 

"Al filtro interpretativo, secondo il metodo caro al regista, provvede anche la scenografia, firmata da Maurizio Balò, assieme ai costumi ricercati e dalle precise simbologie; al contrario di quanto avveniva nel Piccolo Eyolf, tappa precedente di questa tetralogia, dove la scena spariva pezzo per pezzo, qui si procede per aggiunte. 

I atto Modellino della scena di Maurizio Balò

I atto Alessandro Baldinotti, Delia Bartolucci, Fiorenza Marchegiani, Wanda Benedetti ph_ Buscarino ACTB

II atto Modellino della scena di Maurizio Balò

Dietro al velo di tulle che distanzia l'azione rispetto al pubblico, il salone del primo atto si arricchisce di una serie di graduali approfondimenti: si alzano le grandi vetrate di fondo e scendono altri teli dipinti. Così a ogni atto si aggiunge un nuovo elemento, in tinte verdi o marroni a seconda delle luci; e grazie ai pilastri laterali che restringono via via la visione si configura una sorta di teatrino, con le sue quinte, consono all'esibirsi di personaggi e ai loro toni caricaturali. 

III atto Modellino della scena di Maurizio Balò

Delia Bartolucci, Alessandro Baldinotti, Fiorenza Marchegiani 

ph_ Buscarino ACTB

III atto Modellino della scena di Maurizio Balò

Wanda Benedetti, Delia Bartolucci, Tino Schirinzi ph_Buscarino ACTB

IV atto Modellino della scena di Maurizio Balò

Poi anche i pilastri scompaiono per lasciare al loro posto, come in Urfaust, sagome di alberi, introduzione a un metaforico esterno dove cade sempre la neve. Da ultimo resta un solo albero, davanti alla luna sul biancore del suolo ha inquadrare lo squarcio lirico dell'ultima evasione con una citazione un po' intellettualistica da Aspettando Godot. In questa trasfigurazione nel fantastico, la vecchiaia ritrova allora una dimensione di gioco: e il protagonista va a infilarsi in un baule, dove trova la fine con un tocco poetico".

Franco Quadri, Dietro il  velo di tulle ecco il bancarottiere, in “La Repubblica”, 12 marzo 1988 

IV atto Modellino della scena di Maurizio Balò

Wanda Benedetti, Delia Bartolucci, Carla Manzon ph_Buscarino ACTB 

A una commedia lirica ben si addice l'addentrarsi in una fiaba e questo è il percorso scenografico che Castri ha preparato con lo scenografo Maurizio Balò, con l'approfondirsi dello scenario realistico in un passaggio sempre più simbolico: "Continuiamo una ricerca già avviata con l'Urfaust sul deposito nel teatro borghese ottocentesco del favolismo scenografico tardobarocco. Usiamo tecniche e materiali ormai dimenticati: il legno, le quinte, i principali, le tele, i fondali dipinti. Una scena lieve e giocosa, che dà però la dimensione della fiaba".

Fausto Lorenzi, Castri nel mondo del "vecchio bambino", in "Giornale di Brescia", 6 marzo 1988

BIBLIOGRAFIA