1997-1998

ORGIA di Pier Paolo Pasolini


Regia Massimo Castri 

Scene e costumi Maurizio Balò

Luci Guido Levi

Suono Franco Visioli


Interpreti: Stefano Santospago (Uomo), Laura Marinoni (Donna), Cristina Spina (Ragazza)


Produzione: Fondazione Teatro Metastasio di Prato e Teatro Stabile del Veneto Carlo Goldoni 


Debutto: Prato, Teatro Metastasio, 28 gennaio 1998.


Note

Ripresa 1998-1999

Debutto: Trieste, Politeama Rossetti, 5 novembre 1998


L'interprete dell' Uomo doveva essere Remo Girone, sostituito poi da Stefano Santospago.

Maurizio Balò vince il premio Ubu 1998/1999 per la scenografia.

Orgia

Interviste a Massimo Castri

Perché Pasolini, visto che è la prima volta che si accosta a questo autore?

È difficilissimo rispondere a questa domanda. Ogni tanto nella mia vita io affronto testi di autori che non amo. E Pasolini d'altra parte è in buona compagnia perché lo stesso tipo di sentimento ha segnato l'inizio del mio rapporto con Pirandello. Pasolini è un autore che non mi piace, che non capisco e rifiuto. Il perché sta probabilmente nel rapporto conflittuale con un personaggio che pure ha avuto una sua tragicità, una capacità di assorbire tante contraddizioni italiane e di portarle alla luce con una violenza, e forse a volte anche con una "mascheralità", molto rilevanti. Capita di incontrare dei personaggi che non ti piacciono e dai quali sei attratto. Poi è scattato un corto circuito particolare: riaccostandomi a Pasolini quasi casualmente qualche anno fa, ho riletto assieme ad altri suoi testi anche Orgia, e venne fuori una strana miscela di emozioni. Da uno scrittore, personaggio pubblico, uomo di cultura, che in realtà non ti piace, trovi però un testo che suscita emozioni che evocano anche una consonanza privata. Emozioni nascoste, probabilmente sotterranee, sepolte sotto una scrittura che non mi affascina, sotto modalità di scrittura che ritengo molto "false", con una serie di strati difensivi attorno. Però c'era questo aggancio di emozioni che mi sembrava mi riguardassero.

È chiaro che dentro una miscela così qualche curiosità nasce. E da un autore che pure non ami, c'è un testo che contemporaneamente fa intravedere la possibilità di affrontare temi che di solito non si affrontano, e che il teatro non è in grado di affrontare, e nemmeno di toccare, se non si risale ai grandi come Kleist, per trovare alcune di queste tematiche.[...]

L'aspetto favolistico A cosa si riferisce? Al fatto che in questa distesa di "cemento" tendente al sanguinario, protagonisti sono poi i corpi e le loro pulsioni e il loro sesso, con tutta la tenerezza che implicano? 

L'operazione è faticosa, e questi giorni di prove sono forse il momento peggiore per parlarne, nel corpo a corpo della traduzione di una drammaturgia in regia, dove le operazioni sono "sul filo”, e stanno svelando tutte le loro difficoltà. A me è sembrato di trovare dentro il testo, al di là dei vari strati e modalità “sgradevoli", una componente di affettività e di sentimenti che va tirata fuori. Questo certo richiede una lettura del testo in profondità e spesso “sottotestuale”, ed è quello che sto cercando di fare. Quando parlo di fiaba mi riferisco soprattutto alla modalità teatrale, perché l'altra scommessa è proprio questa: prendere "controsenso" Pasolini anche da questo punto di vista. Lui si era inventato in maniera un po' “dilettantesca” la formula del teatro di parola, “contro il teatro dell'urlo e della chiacchiera”.  Era però un discorso presessantottesco ,per cui, estremizzando, tre attori dovevano "dire" delle parole che uno si sarebbe potuto leggere; non c'è bisogno di coinvolgere tre corpi solo per "dire" delle parole. Ma anche se non apprezzo il suo manifesto teatrale, si può fare un'operazione in “controsenso”, lavorando a uno spettacolo di grandissima teatralità. Anche dove sembra che la teatralità sia completamente espunta per scelta.

Eppure Orgia, tra tutti i testi di Pasolini, sembrerebbe quello meno "teatrale" in assoluto. Tutti i suoi testi teatrali sono testi “di parola", ma in Orgia sono addirittura monologhi, che solo a tratti prendono forma di dialoghi.

La teatralità che intendo io è agganciata a una sfida col testo, non è tanto implicita nella scrittura, quanto nella lettura del testo, ed è lo strumento per tirare fuori le emozioni che stanno dentro e sotto le parole, e che sono lontane dalla "truculenza" che in parte c'è in Pasolini. Nel testo c’ è una ricerca d'amore, una ricerca impossibile, una ricca teatralità di immagini e di teatro con il suo calore, con tutto quello che è teatro:  il suono, l'immagine, il corpo degli attori, l'azione. Lavorare su questa teatralità è un modo di accapigliarsi con questo testo.

[...]

Io ho lavorato su questo testo così come avrei fatto su un classico, così come ho di fatto lavorato su Pirandello, ritrovando nel testo gli stessi modi autodifensivi che si instaurano in Pirandello: non casualmente sono molto italiani tutti e due. E si ritrovano in Pasolini le stesse mosse auto difensive che mette in atto Pirandello nel momento in cui trattassimo dei temi che gli sono duri, e in qualche modo spaventosi. C'è lo strato del racconto, poi c'è lo strato dell'ideologia che serve ad allontanare il racconto, e c'è lo strato della poesia. Quella che risulta è una miscela molto difficile: lirismo, ideologia e poi racconto, mescolati come strati che non si mescolano. [...] Ho tenuto conto di queste cose espungendo, togliendo e anche a volte un po' parodizzando. Per arrivare, rispettando il testo, a raccontare un'altra cosa che le è interna ed è la storia di un purgatorio erotico come ricerca di sé. Con un po’ di perfidia e di cattiveria, perché il testo rischia per me di apparire un po’ Spoon River, soprattutto all’inizio  [...]


L’Emozione oltre le parole, una conversazione con Massimo Castri attorno alla messinscena di Orgia di Pasolini, raccolta da Gianfranco Capitta a Prato, domenica 11 gennaio 1998

Stefano Santospago e Massimo Castri in prova ph_Cannone & Ulisse AMET

Castri, perché ha ambientato Orgia in un cimitero di letti?

Potrebbe suggerire anche altre idee: è un'ambientazione altamente metaforica dell'aggressione al testo, un approccio profondamente poetico per un testo che trovo fortemente cimiteriale ma nel senso duro del termine, perché ha dentro tanta letteratura e presunzione, vicino però a forti intuizioni. Pasolini era un apprendista teatrale quando apparve Orgia, un professore che metteva insieme tematiche dell'eros che si trovano anche in Pirandello: un testo che secondo me ha una parte di autobiografismo che diviene però più profondo e rappresenta un tentativo consapevole. Fa parte dell'autorappresentazione del poeta, ma qui si racconta in maniera meno truccata di quanto non facesse di solito attraverso le coperture ideologiche; un conflitto tragicamente profondo tra la sua parte femminile e quella maschile, che nel suo animo e nel suo corpo si sono conflittualmente scontrate.

Intervista a Massimo Castri  di Carlo Rosati, Il mio Pasolini in un cimitero di letti, in  "Giornale di Sicilia", 1 aprile 1998

Stefano Santospago,  Laura Marinoni ph_ Cannone&Ulisse AMET

La compagnia prova a tavolino: Laura Marinoni, Stefano Santospago, Cristina Spina AMET

Dalla rassegna stampa

Le note gravi e solenni della "Prima sinfonia" di Mahler svelano, all’aprirsi del sipario, un paesaggio cimiteriale di letti matrimoniali sbilenchi conficcati in un terreno erboso, chiuso sul davanti da una imponente cancellata, sui lati da due alti muri smerciati e aperto sul fondo vuoto. Dalla platea un uomo, cappotto e cappello neri, un mazzo di crisantemi in mano avanza verso il palcoscenico. Davanti alla grata racconta in un lieve sarcastico monologo del suo suicidio come il solo gesto veramente suo in una vita spesa invece a soffocare sotto un’apparente normalità una diversità, che più che sessuale è bisogno di violazione delle regole e rifiuto dell'omologazione. Dal fondo del palcoscenico, intanto, una donna - la sua Donna - anche lei con i segni del lutto, scivolando rasente i muri, guadagna la scena. Dopo un lento, disperato balletto di avvicinamento i due, finalmente seduti su di un retto, la mano dell'uomo su quella dell'altra, si avviano a quel doloroso gioco del ricordo, che è "Orgia". Un terribile gioco al massacro che nella scrittura monologante di Pierpaolo Pasolini ha le cadenze di una cerimonia di morte, in cui finalmente si invera un rapporto di coppia guastato nel profondo dalle convenzioni di una società ipocrita e piccolo-borghese. 

Mario Brandolin, Il doloroso gioco del ricordo, in “Messaggero Veneto”, 14 novembre 1998

Stefano Santospago ph_Marcello Norberth AMET

Laura Marinoni, Stefano Santospago ph_Marcello Norberth AMET

Se non dalle parole, allora, Castri le emozioni sembra farle prima affiorare e poi sgorgare con impeto dalle carni che profumano di eros, dai corpi in esposizione, sacri e violati insieme, dalle distanze dai contatti, dalle sfrontatezze e dai pudori. Sono proprio i gesti, gli atteggiamenti, gli sguardi, i respiri che, alla fine, consentono di dare le picconate decisive al solito muro dell'ideologia, che circonda e rende impenetrabile il linguaggio [...] Gli interpreti [...] si destreggiano tra la lucida ferocia, il sogno, il dolore, l'innocenza perduta la ragione disincantata, quella divertita, quella  arrabbiata, quella febbrile.


Pierfrancesco Giannangeli, Orgia: nel cimitero della coppia il corpo va oltre il linguaggio, in "Hystrio", n.2, 1998 p. 101

Laura Marinoni ph_ Cannone&Ulisse AMET

Dal dramma borghese Castri estrae la partitura naturalistica di piccoli gesti che porta i due protagonisti a comportarsi in quel cimitero del sogno come in un interno domestico. Con la stessa controllata quotidianità, persino con inaspettate tenerezze. Lontani all'inizio, in movimento su orbite distanti, si avvicinano progressivamente fino a ritrovarsi sullo stesso letto. Lui le prende una mano. Lei gli appoggia la testa su una spalla. E quando a sera ritornano lì, da dove non si sono mai mossi, dopo che lo scontro ha per un attimo messo a nudo la pelle, lei comincia a spogliarsi un giorno e si scioglie i capelli, con movimenti lenti di un rito consueto prima di dormire. La traccia sonora "stanislavskiana" cara al regista (rintocchi di campane, cinguettii di uccelli, rumori di automobili)  non richiama solo quanto Checov c’è in tutta la drammaturgia del Novecento, fino naturalmente a Beckett. È, di più, il ritornare dentro quel luogo separato da un mondo che sta lì vicino, dietro il confine di quel muro. Così come alla colonna sonora alta che esplora soprattutto le sonorità del 900, dalle inevitabile Malher dell'inizio a Schöenberg e Ligeti, si contrappone in bocca alla coppia Un repertorio canzonettistico di tuli tuli tulipan che parlano d'amore e di vorrei volare come volano le rondini che contestualizzano gli abiti che indossano, un po' fuori moda ma non tanto da apparire "in costume". E sarà proprio una canzone d'epoca che passa da una bocca all'altra, a indicare una continuità fra la donna che si allontana e la ragazza (Cristina Spina) che entra insieme all'uomo. I suoi abiti che volano in aria leggeri, il suo corpo nudo che rivela la donna cresciuta sotto il volto ancora infantile, sembrano poter portare nuova vita in quel purgatorio dove Il tempo scorre senza che nulla si consuma davvero.

Gianni Manzella, Una coppia dilaniata, in “il manifesto”, 4 febbraio 1998 

Stefano Santospago, Crisitna Spina ph_Marcello Norberth AMET

Bozzetto della scenografia di Maurizio Balò

APPROFONDIMENTI

Foto copertina: Laura Marinoni, Stefano Santospago ph_ Marcello Norberth AMET