Alcesti

2005-2006

ALCESTI di Euripide

Traduzione di Umberto Albini


Regia  Massimo Castri

Scene e costumi  Maurizio Balò

Luci  Gigi Saccomandi

Musiche Arturo Annecchino

Suono  Franco Visioli


Interpreti: Milutin Dapcevic (Apollo, Servo), Alessia Vicardi (Thanatos); Roberto Baldassari, Giovanni Carta, Angelo Di Genio, Michele Di Giacomo, Daniele Griggio, Andrea Ruggieri, Emilio Vacca (Coro); Alessia Vicardi (Ancella di Alcesti), Ilaria Genatiempo (Alcesti), Sergio Romano (Admeto), Paolo Calabresi (Eracle), Renato Scarpa (Ferete).

Produzione: Teatro Stabile dell'Umbria, Teatro Stabile di Torino, Teatro di Roma

Debutto: Perugia, Teatro Morlacchi,  gennaio 2006


Note: 

Nel corso della tournée Daniele Griggio lasciò la compagnia, le sue battute furono ridistribuite tra gli altri membri del coro.

Dal quaderno di sala:  Alcesti, una fiaba ambigua  da una conversazione con Massimo Castri 

a cura di Bianca Maria Ragni 

[...] Probabilmente il centro più importante del testo è l'operazione culturale e drammaturgica operata da Euripide, in linea con il suo sperimentalismo continuo, che in questo caso è particolarmente radicale e condotto con strumenti diversi dal solito. Alcesti rappresenta la donna-moglie che muore per amore del marito, salvandogli la vita con il suo sacrificio: si tratta di un mito, sarebbe meglio dire una fiaba consolatoria, che proviene da un antichissimo motivo folklorico diffuso in un'area molto vasta, dall'Europa settentrionale all'India. Euripide, senza fare né operazioni di parodia né di scardinamento, parte da questa fiaba e la trasforma: la trascrive trasportandola in ambito umano, usa una metodologia quasi novecentesca, simile, ma direi di livello superiore, a quella che hanno operato alcuni autori del ‘900 nei confronti di alcuni momenti del mito greco. Con un'operazione molto elementare, una tecnica quasi pirandelliana da certi punti di vista, mette i personaggi sotto una specie di microscopio, di lente d'ingrandimento, trasformandoli da figurette senza psicologia, senza corpo e senza tempo, bidimensionali, in personaggi reali con un corpo, un carattere, dei rapporti, e soprattutto introduce il tempo della vita normale. l’effetto di questa operazione di laboratorio, raffinata e astuta al tempo stesso, è che la fiaba esplode e si rovescia nel suo contrario, da consolatoria diventa nera e inquietante. Se si introducono personaggi veri e tempo reale in un tessuto mitico fiabesco, tutto cambia: bisogna riempire lo spazio di tempo che passa fra la decisione di morire e l'arrivo della morte. Cosa succede tra due persone che convivono, in attesa che una delle due muoia per far vivere l'altro? La fiaba si rompe e viene a galla il tessuto di paure, vigliaccherie, fragilità umana e, un aspetto completamente invisibile nella fiaba e che fa emergere con chiarezza il senso sarcastico della trappola psicologica tesa dal dio all'uomo: la possibilità di salvarsi dalla morte facendo morire qualcun altro. All'inizio sembra un regalo bellissimo, un bambino accetterebbe subito, ma un bambino è un essere totalmente, schiettamente e sanamente egoista, non c'è nessun problema se fa morire qualcun altro, per un uomo è diverso.

Dalla rassegna stampa

Renato Scarpa, Sergio Romano ph_Tommaso Le Pera 

Con l'allestimento dell'Alcesti di Euripide, strana tragedia incentrata su un protagonista pavido e meschino e coronata da un ambiguo lieto fine, Massimo Castri torna alla dimensione che evidentemente gli è oggi più congeniale, ovvero quella della favola grottesca e stralunata già sperimentata anni fa in Orgia di Pasolini: a quello spettacolo rimanda esplicitamente la bella scenografia di Maurizio Balò, un prato in declivio con la fossa aperta di un imminente sepoltura nel mezzo, la finta erba di quello che era allora e resta ancora il metaforico cimitero della coppia.

In questo spazio che non è né interno né esterno, insieme l’atrio di un palazzo, arredato con alcune sedie, e il giardino su cui incombe l'enorme porta di una vecchia casa di campagna, il re Admeto, in abiti primo Novecento come certi personaggi pirandelliani di Castri, gilé e cravatta neri, feltro nero in testa, sta scavando la tomba della moglie. Lei è ancora viva, ma presto morirà: e morirà per lui, giacché Apollo gli ha concessa salva la vita se qualcuno si sacrificherà al suo posto, e nessun altro era disposto a farlo, neanche gli anziani genitori. Nessuno, se non la generosa Alcesti. Admeto scava lamentandosi, ma si vede bene che ormai è andato oltre, che è come se l'avesse già sepolta e dimenticata. La donna, d'altronde, si presenta dall'inizio tutta avvolta in bende funerarie come una mummia. E un coro di vegliardi ibseniani, con la tipica morbosità dei vegliardi, pare spiarne la fine con ansia rapace. Solo un ospite, Eracle, accolto mentre era sulla via di una delle sue interminabili fatiche, Eracle raffigurato come un energumeno ubriaco, pensa alla sorte della poveretta: infatti scende agli Inferi a lottare con la Morte per riportare Alcesti, intatta al marito. È in questo ritorno dall'Ade la chiave dello spettacolo: perché di fronte alla figura velata che egli non riconosce, Admeto prima si sottrae all'idea di prendersela in casa per compiacere Eracle, la respinge per compiacere la defunta, poi cede senza troppi indugi al nuovo futuro che gli si offre. Solo allora scopre che si tratta della moglie, doppiamente tradita in quanto avviata in sua voce all'Aldilà e poi sostituita con colei che - pirandellianamente?- credeva un'altra: dirigendosi in silenzio verso la reggia, i due per opposte ragioni non appaiono particolarmente felici.  

Renato Palazzi, Torna la moglie mummia, in "Il  Sole 24 ore", 26 febbraio 2006.


[...] Castri sceglie la via della favola nera, entra a gamba tesa in tutti i pertugi di comicità presenti nel testo, così come ne raggela al contrario tutti i passaggi sentimentali o commoventi in una lettura estremamente lucida, ma non priva di un certo cerebralismo "autocitazionista", tutta incentrata sul personaggio di Admeto (nell'odioso ruolo un Sergio Romano in stato di grazia) e, più che sulla morte, sulle conseguenze della paura di morire.Che si condivida o no questa sua scelta interpretativa, che si senta poco o tanto la voluta mancanza di pathos e l'ambiguità di un lieto fine ben poco consolatorio, questa Alcesti resta comunque una gran bella macchina per pensare, grazie anche a un lavoro di équipe serissimo e di ottimo livello, come sempre dovrebbe essere in teatro.

 Claudia Cannella, Alcesti ovvero gli uomini che mascalzoni!, Hystrio, n. 2, 2006

Ilaria Genatiempo, Sergio Romano, Paolo Calabresi ph_Tommaso Le Pera 

Bozzetti della scenografia di Maurizio Balò

Bozzetti dei costumi di Maurizio Balò

APPROFONDIMENTI

BIBLIOGRAFIA

Roberto Alonge, Il teatro greco sulla scena italiana : la linea Ronconi-Castri, in “Il Castello di Elsino­re”, n.74, 2016, pp. 9-24.

Foto di copertina: Renato Scarpa, Sergio Romano ph_ Tommaso Le Pera