Hedda Gabler

1980_1981

HEDDA GABLER di Henrik Ibsen

Traduzione di Anita Rho


Regia  Massimo Castri

Scene e costumi  Maurizio Balò

Musiche originali  Edvard H. Grieg e Giancarlo Facchinetti


Interpreti : Valeria Moriconi (Hedda), Alarico Salaroli (Jörgen Tesman), Magda Schirò (Julle Tesman), Carlo Rivolta (Ejlert Lövborg), Antonio Francioni (Assessore Brack), Relda Ridoni (Thea Elvsted), Renata Negri (Berte)


Produzione: ATER-Emilia Romagna Teatro e Centro Teatrale Bresciano

Debutto: Ferrara, Teatro Comunale, 29 ottobre 1980.


Note:

Valeria Moriconi vince il Premio Ubu 1980-1981 come migliore attrice per Hedda Gabler di Castri e Turandot, regia di Gian Carlo Cobelli.


Ripresa 1981_1982 

Sergio Reggi sostituisce Alarico Salaroli, Ruggero Dondi sostituisce Carlo Rivolta, Marisa Germano sostituisce Renata Negri.

Debutto: Piacenza, Teatro Municipale, 15 ottobre 1981

DAL PROGRAMMA DI SALA

Valeria Moriconi, Massimo Castri durante le prove a tavolino 

ph_Ciminaghi ACTB

Alarico Salaroli, Valeria Moriconi, Carlo Rivolta 1980-1981 ph_Ruggeri AERT

Testo di confine e testo di perfidia; perfido proprio perché “commedia” (...che trascolora opportunamente nel melos di tradizione francese, tra salotto e dramma a  forti tinte …). Infatti qui Ibsen torna ad assumere i suoi grandi temi, i suoi eroici personaggi e sadicamente (ma anche masochisticamente) li introduce nella "commedia", ma ciò è possibile solo perché sia i temi sia i personaggi sono minimalizzati, appiattiti, tali  dunque da poter  essere proiettati nella forma alienante della "commedia", tali da poter produrre essi stessi soltanto una commedia. Con questo gesto Ibsen sembra mettere fine con rabbia alla sua lunga ricerca di una scrittura tragica contemporanea. [...]

Ibsen impietosamente si rappresenta in Hedda Gabler (la perfida e fredda e annoiata assassina di deboli eroi… che aspirano invece ad una costruttiva normalità), o meglio nell’ambiguo intrigare di Hedda Gabler rappresenta il suo lavoro di scrittore, di "costruttore" di intrecci realistico-simbolici. "Hedda Gabler" è testo più profondamente sottilmente autobiografico di quanto non si sospetti di solito.

Ma la figura di Ibsen spunta in ogni parte del testo, si mostra sotto i più imprevisti e auto-ironici travestimenti. Si scopre, infatti, la sua faccia testarda e musona dietro la maschera da comédien dell'assessore Brack: personaggio trasportato nel mondo ibseniano (ed è forse l'unico) direttamente da qualche pruriginosa commedia del triangolo; personaggio, inoltre, che cita "epicamente" l'ideologia del triangolo (ed è l'unico teorico o raisonneur del testo: l'unica filosofia riconoscibile nel testo e la sua! ); ma soprattutto, personaggio che tira perfettamente i fili della trappola in cui cade la non troppo "demoniaca" Hedda che a sua volta ha tirato i filli della trappola in cui è caduto il povero Lövborg. [...] 

Quando, alla fine, il cerchio del testo si chiude, ci accorgiamo che la perfidia si muove dall'autore verso i personaggi ma dall'opera ritorna sull'autore, che, svelando il personaggio, ha insieme impietosamente svelato se stesso: ambiguo aspirante “tragico", perennemente deluso e insoddisfatto.

Ma qui scatta anche il "paradosso" racchiuso in "Hedda Gabler": questa commedia perfetta (l'unica nell’opera di Ibsen) è anche l'unica vera tragedia scritta da Ibsen, ovvero l’unica perfetta mimesi di una tragedia scritta da Ibsen: tragedia del rovesciamento e tragedia dell'auto-riconoscimento (le due grandi tipologie della tragedia greca). Tutti i gesti di Hedda si rovesciano nel loro esatto contrario e quando Hedda si vede per ciò che realmente è (esce dalla propria cecità), si uccide: il povero Edipo ha trovato una compagna, la tragedia antica ha trovato una perfetta e “perfida” trascrizione (l'unica possibile) nei meccanismi formali della commedia da boulevard. Peccato che Ibsen non abbia avuto modo di conoscere il Gran Tragico, Sigmund Freud, colui che scriverà  (avendone “inventato” l’unico fondamento possibile, sostitutivo dell’antica “necessità”: l’inconscio) quella Tragedia Borghese inseguita per tutta la vita dal padre di Brand e Peer Gynt. 

Massimo Castri

LA SCENOGRAFIA

Bozzetto di scena di Maurizio Balò AERT

Relda Ridoni, Valeria Moriconi 1980-1981 ph_Ciminaghi ACTB

“anche la morte dell’eroina è in effetti una sua semplice espulsione dallo spazio della mediocrità borghese. Al colpo di pistola di Hedda la scenografia opera una rotazione di centottanta gradi dell’impianto strutturale (due salotti, uno in proscenio e uno sullo sfondo, divisi orizzontalmente da una vetrata): lo spazio di fondo passa in primo piano e viceversa. È l’idea del cerchio, dello speculare, che impone la ripresa delle stesse battute dell’inizio, fatta salva l’assenza dell’eroe tragico. La cameriera, la zia, il marito riprendono la commedia della vuotaggine, della chiacchiera, della meschineria, al di là della scomparsa di Hedda. È come se la vicenda ricominciasse, ma senza Hedda, sostanzialmente inessenziale all'esistenza di quel cosmo angusto e un po’ misero.

Questa definizione di Hedda Gabler come “commedia da boulevard” è fondamentale per Castri. È di qui che nasce propriamente la soluzione scenografica dei due salotti speculari. Tutta una gran parte del tessuto dialogico previsto dal testo (forse quasi un 30% a voler arrischiare alle percentuali) è detto dai personaggi collocati sul “secondo salotto”, quello di fondo. Ne nascono problemi evidenti di comprensibilità per gli spettatori che non sempre riescono a percepire le battute dette così in lontananza, ma l’effetto è previsto, voluto. Non ha importanza “capire” perchè quello che dice questa società di piccoli borghesi ansiosi di migliorare la propria condizione sociale non è che banalità, stupidaggini, noia… Al di là della intelligibilità delle parole, ciò che conta è una certa cadenza di parlato, che deve essere colta dallo spettatore, allusiva di un vuoto reale di dialogo interpersonale. Semmai era forse giusto pretendere da Castri un utilizzo meno episodico della trovata scenica dei due salotti che si invertono di posizione. Abbiamo un doppio rovesciamento soltanto all’inizio (in una sorta di “prologo” soltanto mimato, prima che comincino le vere e proprie battute) e alla fine, come descritto.”

Roberto Alonge, La scoperta della commedia nell’Ibsen di Castri, in "Cinema Nuovo",  dicembre 1981 p. 35

Antonio Francioni, Renata Negri, Valeria Moriconi, Alarico Salaroli 1980-1981 ph_ Ciminaghi ACTB

Massimo Castri in prova 1980-1981 ph_ Ruggeri AERT

Approfondimenti

BIBLIOGRAFIA

I taccuini di regia di Hedda Gabler sono pubblicati in: Massimo Castri, Ibsen postborghese, a cura di Ettore Capriolo, Milano, Ubulibri, 1984. 

Roberto Alonge, La scoperta della "commedia" nell'Ibsen di Castri, in Dal te­sto alla  scena.  Studi  sullo  spettacolo  teatrale,  Tirrenia  Stampatori,  Torino 1984, pp. 91-98.