Porcile

2008-2009

PORCILE di Pier Paolo Pasolini


Regia Massimo Castri

Scene e costumi Maurizio Balò

Luci  Gigi Saccomandi

Musiche Arturo Annecchino

Suono Franco Visioli


Interpreti: Antonio Giuseppe Peligra (Julian), Corinne Castelli (Ida), Paolo Calabresi (Padre), Ilaria Genatiempo (Madre), Davide Palla (un cameriere/Clauberg ex-Ding),  Mauro Malinverno (Hans Gunther), Milutin Dapčević (Herdithze), Miro Landoni (Spinoza/Wolfram) , Vincenzo Giordano (Maracchione


Produzione Teatro di Roma

Debutto: Roma, Teatro Argentina, 25 novembre 2008


Note

Maurizio Balò riceve il Premio internazionale Cinearti La chioma di Berenice 2009 per la scenografia.

Interviste a Massimo Castri

"Io considero Porcile di Pier Paolo Pasolini una fiaba nera, senza elementi di tragicità diretta. Un testo tra i più semplici e lineari del suo teatro. Dirò di più: un’opera leggera, asciutta, lieve. Mi affascina perchè è spoglia di letteratura e ideologia. Con quel suo protagonista silenzioso, in cui l’autore sembra riversare il proprio rimpianto della giovinezza.

[…] Per la scena ho scelto la semplicità: un prato con una panchina in mezzo e dei fiori intorno. I personaggi vi passeggeranno tutti in abito da sera, ma ognuno vestito in modo da evocare una sua surrealtà, con la trovata finale (quando le due vicende parallele dei genitori e dei figli si toccano), di una mondana festa in maschera. E gli affaristi, al culmine di questa parabola, più mitica che pornografica, indosseranno maschere animalesche da suino" 


Massimo Castri nell'intervista, Castri e la favola nera di Pasolini tra affaristi maiali e maiali veri, in "il Venerdì di Repubblica", 10 ottobre 2008

Antonio Giuseppe Peligra, Corinne Castelli ph_Serafino Amato ATDR

Un italianista, Marco Ariani, ha scritto di Porcile: «L’abietta infernalità del teatro pasoliniano punta a una didassi, che trae la morale dall’orrida favola: un qualunque porcile è più puro e incontaminato del Porcile-Società…». È d’accordo con questa lettura? 

Non mi trovo d’accordo con questa affermazione perché se è una lettura ideologica, che Pier Paolo Pasolini propone sempre come prima scelta di lettura - quasi sulla falsariga di Pirandello, anch’egli specialista nel nascondere dietro “scatole ideologiche” contenuti più veri, intimi e personali - a uno sguardo più attento si rivela non vera, oltre che tesa a nascondere altri contenuti più profondi e complessi. Orgia e Porcile, in particolare, nascono e poi nascondono un nodo molto privato che cerca di farci intuire l’immaginario erotico più intimo di Pasolini: un contenuto che forse neppure lui stesso avvertiva. Gli altri cinque drammi di Pasolini, pur proponendosi come paradossali, sono meno estremi di questo. 


Quale impostazione registica ha scelto di conseguenza per il suo spettacolo? 

Non riesco proprio a considerare o a sentire “estremo” questo testo. Anzi, mi sembra il più semplice e il più ironico tra le opere dello scrittore: una fabula nera, questa è l’impressione che mi ha sempre fatto sin dalle prime letture. Colpisce inoltre il silenzio del protagonista, la sua semplicità francescana, il suo non dire ma testimoniare col gesto e non con la parola (come spiega molto bene Spinoza, che accoglie Julian con grande affetto tra i suoi discepoli). A questo proposito va ricordata la genesi del testo: il suo procedere verso la semplicità della fabula e del racconto. Basta fare il confronto con le poche scalette e i pochi frammenti rimasti delle intenzioni iniziali. Con grande rapidità, confrontando questi materiali, si vede un processo di eliminazione che scivola da un testo gonfio di imitazioni letterarie ad un racconto limpido e liminale. D’altra parte, è vero anche che proprio nella sua leggerezza e lievità Porcile è forse il testo più apocalittico di Pier Paolo Pasolini (come appunto possono permettersi le fiabe nere). 


Guido Davico Bonino, Testimoniare col gesto. Intervista a Massimo Castri, in Limone : i registi, a cura di Guido Davico Bonino e Mario Martone, Torino, Fondazione del Teatro Stabile, 2009, p. 75

Dalla rassegna stampa

Il Porcile di Castri è apparentemente affine a quella sua versione di Orgia, quasi fosse ambientato nel giardino contiguo a quello cimiteriale ma rigoglioso che per quella aveva inventato Maurizio Balò, ovviamente autore memorabile anche di questo irto declivio, che sale da un lato all'altro del palcoscenico. Se lì tra le tombe c'era un lettone matrimoniale a sancire Il destino mortifero della coppia, qui campeggiano da un lato grandi fiori di prato, quasi a citare la famosa raccolta friulana di Pasolini, comprendente testi originali risalenti all'immediato dopoguerra, di "un paese di temporali e di primule". È su quel prato, ancora alla vigilia del ‘68 (è nel biennio precedente che Pasolini scrive tutto il suo teatro durante una “fatidica" degenza per malattia), che il giovane Julian vive la sua scelta estrema di presa di distanza dalla famiglia borghese. Anzi altoborghese , dato che il padre è un ricco imprenditore della storia e dell'acciaio, socio e quindi oggettivamente complice di nazisti residuali e totalitaristi militanti. La famiglia è stata "ripulita" dal Boom, e Castri le dà sulla scena il glamour quasi aristocratico di Paolo Calabresi e Ilaria Genatiempo, i genitori di Julian. Così come la mancanza di pudore collaborazionista è resa con forza penetrante da Mauro Malinverno come da Milutin Dapčević. Mentre le musiche di Arturo Annecchino scandiscono quel panorama quanto le luci solari di Gigi Saccomandi. Ma è attraverso i due protagonisti giovani, Julian e la sua petulante minorenne "pretendente" Ida (Antonio Giuseppe Peligra e Corinne Castelli) che la regia offre la vera chiave di volta della sua lettura. Sono due "bambini" senza domani a dispetto delle pretese, voraci e volitivi sebbene con progetti ben divaricati. Lei che punta a una forma di matriarcale dispotico pensiero dominante (grazie alla possibile "sistemazione" con lui), mentre Julian, senza mai confessarlo esplicitamente persegue il sogno, e la pratica, e l’eversione quindi, di un eros realizzato e appagato nel porcile del titolo con i suoi occupanti abituali. Favola amara che da commedia, più o meno sofisticata, butta velocemente in tragedia in orrore (i maiali si mangiano il loro amante dopo il fattaccio, racconta la rivelatrice cronaca finale, simile al modello di tanti classici dell'antica Grecia). Tragedia che suona minacciosa e terrifica nel momento in cui viene scritta, alla vigilia di mutamenti tutti di là da venire. Castri ne fa un racconto a attraente e inquietante, quasi mettendo il secondo piano che sia un vero conte philosophique, tanto che appare in scena un altrimenti incongruo Spinoza in parrucca fiamminga (Miro Landoni) a orientare e disorientare il protagonista. L'inarrestabile esuberanza dei due "ragazzi", fonda certo la vicenda, o la morale dell'epilogo, dentro una primigenia infanzia collettiva, che tutti può riguardare. 

Gianfranco Capitta, Se l’eversione rotola sul prato, in "il manifesto", 30 novembre 2008

Paolo Calbresi, Ilaria genatiempo, Davide Palla 

ph_Serafino Amato ATDR

Ilaria Genatiempo, Corinne Castelli 

ph_Serafino Amato ATDR

Davide Palla, Paolo Calbresi, Milutin Dapčević

ph_Serafino Amato ATDR

Ronni Bernardi, Miro Landoni, Vincenzo Giordano

ph_Serafino Amato ATDR

Porcile è quindi un esempio di come il dramma sessuale, il riscatto sociale e la critica al mondo hanno in Pasolini una stretta correlazione che la forma teatrale è in grado di svelare senza ambiguità. Castri ne è consapevole e chiede a Maurizio Ballò una scenografia caratterizzata dal “bello", un bello perfetto epperò finto, come se la stilizzazione portasse a un assoluto e il falso a una verità.

Quindi il sipario s’alza su un prato meravigliosamente verde con una semplice panchina, l’esatto contrario del fango in cui ci si aspetta che il maiale grufoli, l'opposto del mondo degradato suino, sessuale, borghese di cui il titolo del dramma è un annuncio secco, perentorio. Rovesciata è l'immagine per ribadirne il significato originale. Castri in fondo, ed è eroismo e limite della sua regia, combatte contro il testo, vuole sublimarlo, estrarlo dalla melma, ossia dal suo luogo comune, per elevarlo a indagine distaccata di una condizione umana. il suo "engagement", per riprendere Sartre, il suo impegno è dello studioso, dell’entomologo. Posizione elegante, persino auspicabile, perché in fondo nessuno ha il dovere di stare sempre a ficcare le mani nell'orribile, e anche lo spettatore ha il diritto di essere trattato aristocraticamente. [...] Il passaggio teatralmente più forte è il finale, con i personaggi che indossano maschere di maiale e si rotolano sconciamente nella meravigliosa erba artificiale verde. Proprio vero che il teatro è filosofia in azione, pensiero che si fa carne, movimento, fonè. Bravi gli attori della compagnia, dalla regia tenuti leggermente a freno, sì da farli lavorare sulla sottrazione interpretativa più che sull'accumulo, sul dare. La grandezza Di Castri non sta nel riuscire uno spettacolo, perché a questi livelli la questione non è una messa in scena più o meno ben fatta. Sta nel suo cercare e nel pudore di questo cercare.

Marcantonio Lucidi, Aristocrazia della regia, in "Left", 5 dicembre 2008

Massimo Castri, di ritorno a Pasolini dieci anni dopo la geniale lettura di Orgia, chiede a Maurizio Balò di approntargli un altro prato verdissimo e luminoso su cui si drizzano dei fiori un tantino mostruosi, su cui i ragazzi giocano e i genitori si agitano preoccupati soprattutto del loro buon nome, quando non congiurano con loschi complici nazi e esperti di sevizie da lager, prima di ricevere il professor Spinoza, in attesa che certi complici si travestano da maiali, rendendo chiaro significato umano e politico del titolo con una mossa illuminante che Pasolini avrebbe probabilmente messo in discussione ma che restituisce al testo quell’efficacia a volte messa in dubbio da certi compiacimenti un po' datati della scrittura. 


Franco Quadri, Gli incubi di Pasolini e la Germania del boom, in “La Repubblica”, 1 dicembre 2008

Antonio Giuseppe Peligra, Miro Landoni ph_Serafino Amato ATDR

Mauro Malinverno, Milutin Dapčević, Paolo Calabresi, Davide Palla ph_Serafino Amato ATDR

Bozzetti preparatori per la scenografia di Maurizio Balò

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