Ecuba 1994


Bozzetto per la scenografia di Maurizio Balò

1994-1995

ECUBA di Euripide

Traduzione di Giovanni Raboni


Regia Massimo Castri 

Scene e costumi Maurizio Balò

Musiche Arturo Annecchino

Luci Sergio Rossi

Suono Franco Visioli


Interpreti: Anna Proclemer (Ecuba), Barbara Valmorin (Corifea), Polissena (Sonia Bergamasco), Paolo Bessegato (Ulisse), Gianni Musy (Taltibio), Laura Panti (Ancella), Piero Di Iorio (Agamennone), Emilio Bonucci (Polimestore), Alessio De Filippis, Stefano De Filippis (Figli di Polimestore), Sonia Barbadoro, Marialuce Bianchi, Sabrina Iorio (Coro delle prigioniere), Alice Warshaw (al violino)


La voce di Polidoro è di Sonia Bergamasco


Produzione: Teatro Stabile di Roma

Debutto: Roma, Teatro Argentina, 29 novembre 1994

Intervista di Andrea Porcheddu a Massimo Castri 

«Ecuba è un testo straordinario, che si pone proprio sulla periferia ultima del lavoro che fa Euripide. Qui la tragedia si è trasformata in un oggetto che non è più tragedia, ma qualcosa di "altro". È un testo straordinario per asciuttezza, direi quasi minimalista, di quel grande minimalismo che noi non conosciamo. Non potrò operare con Ecuba così come ho operato con Elettra, e come spero di poter operare con Oreste, perché sarà un'operazione di palcoscenico, e questo pone qualche problema in più, dovuto proprio alla traduzione dentro lo spazio del teatro barocco. È difficile ora anticipare le linee registiche, perché sarebbe come anticipare modelli di lettura dello spettacolo che poi, invece, dovrà parlare per suo conto. Con Ecuba, comunque, abbiamo equilibri di linguaggio più delicati che con quello di Elettra o Ifigenia: è un testo straordinariamente realistico, quasi minimalistico. Dalla base realistica, Euripide comunica un messaggio di non-senso della sorte dell'uomo posto all'interno dell'evento feroce che è la guerra. Euripide scava in un piccolo episodio, colto tra le pieghe di due grandi eventi di violenza: è appena terminato la guerra di Troia e sta per cominciare la grande vicenda degli Atridi, in sostanza tra Omero e la grande tragedia. Euripide coglie il tempo fermo, un piccolo episodio che implode in maniera silenziosa, quasi senza effetto o risonanze in una situazione di dopoguerra privo di valori, tensioni, sentimenti o di capacità di provare sentimenti forti. Come dei topi che lottano ancora sulle macerie, senza rendersi conto che è tutto stato distrutto».  


Andrea Porcheddu, Euripide: lo stupore e l'empatia intervista con Massimo Castri, in "Primafila", novembre  1994, riprodotta nel Quaderno di sala del Teatro di Roma.

Anna Proclemer ph_Marcello Norberth ATDR

Barbara Valmorin ph_Marcello Norberth ATDR

Anna Proclemer, Sonia Bergamasco ph_Marcello Norberth ATDR

Dalla rassegna stampa

La scena di Maurizio Ba ph_Marcello Norberth ATDR

«La tragedia ha tutte le caratteristiche per prestarsi alle letture che Massimo Castri sta dedicando da qualche tempo all' opera di Euripide. Ne ritroviamo puntualmente la massima spettacolarizzazione di uno scenario che piacerebbe a Beckett, l'esasperato degrado dei personaggi rimpiccioliti dal minimalismo dei gesti, l'asciugamento severo dei cori, la datazione trasferita nel periodo del dramma verista, all' inizio del secolo. L' atmosfera diventa quindi il dato determinante. Ma attenzione alle ricette prestabilite, perché il pericolo della maniera è già in agguato. Sulla scena nuda dell' Argentina con le sue arcate maestose ostentate per evocare uno splendore dimenticato, Maurizio Balò apre una strada tra ammassi di macerie, calcinacci e pezzi di vecchi mobili, percorsa tra effetti di pioggia da una suonatrice (Alice Warshaw) emersa da qualche guerra brechtiana per sviolinare le note di Arturo Annecchino, mentre echeggia la voce del fantasma di Polidoro. Sotto le fredde luci di Sergio Rossi, tra i rombi intermittenti di tuoni che lasciano galleggiare latrati di cani e stridere di gabbiani, le deportate manifestano la loro vagante solitudine, coperte di stracci sopra a qualche residuo di decaduta nobiltà, che non le trattiene dal rovistare come topi nella circostante immondizia. Ecuba si trova alle prese col controsenso di dover far coesistere uno sfinimento da veristico rottame e la forza feroce per organizzare la sua vendetta: e Anna Proclemer, con uno scarto rispetto alle premesse registiche, sembra attingere quella reazione a un rigurgito di dignità piuttosto che alle estreme risorse della disperazione; la sua possente autorevolezza, che l' autorizza ad annullarsi nella polvere ma non intacca l' ordine composto dall' acconciatura e del suo completo a due pezzi con sapore di divisa, resta dissintona rispetto alla misera gestualità che l'attornia, ai toni concitati della Polissena di Sonia Bergamasco, alle rigorose note beckettiane della brava Barbara Valmorin, abbigliata da malandata crocerossina. Accanto all' ammutolita Laura Panti è lei la sola ad imporsi in un coro privato per il resto della funzione verbale a favore di una mera decoratività: sigarette, chiome scarmigliate, pettegoli sommessi, pose da Lilì Marlene ' sotto quel fanal'. Di contro nell'esercito con gli elmetti e le divise della prima Guerra mondiale, spicca l'Agamennone trasandato e politicante di Piero Di Iorio, col suo bocchino e la boccetta di grappa, al fianco dell'Ulisse tossicchiante e volutamente cialtrone di Paolo Bessegato e al Taltibio un po' retorico di Gianni Musy».

Franco Quadri, L'ospite di Ecuba, in "La Repubblica", 1 dicembre 1994. 

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