Caterina di Heilbronn

1980-1981

CATERINA DI  HEILBRONN di Heinrich von Kleist 

Traduzione di Giorgio Zampa


Regia  Massimo Castri

Scene e costumi Maurizio Balò

Luci

Musiche


Interpreti: Ermes Scaramelli (L’imperatore), Virginio Gazzolo (Friedrich Wetter Conte von Strahl ), Anna Goel (Contessa Helena), Gigi Castejon (Gottschalk), Delia Bartolucci (Brigitte), Carla Chiarelli (Kunigunde von Thurneck), Graziano Giusti (Theobald Friedeborn/ Maximiliam), Patrizia Zappa Mulas (Käthchen), Francesco Paolo Cosenza (Georg von Waldstätten), Daniele Demma Antonio Rosti (carbonai)


Produzione: Centro Teatrale Bresciano

Debutto: Brescia, Teatro Grande, 7 aprile 1981


Note: 

Al debutto vengono presentati al pubblico solo due dei cinque atti dello spettacolo. Dopo un allestimento, gestito da Castri in un'ottica laboratoriale che provoca però crisi e defezioni, l'episodio segna la prima interruzione dei rapporti di Castri con il CTB. In occasione dei premi Ubu 1980-1981 Castri ottiene una speciale "segnalazione tecnica per l'elaborazione drammaturgica" sul testo dello spettacolo.

LABORATORIO (ovvero Caterina di Heilbronn)

Massimo Castri durante le prove ph_ Alabiso ACTB

In principio fu il Bosco, luogo di Apparizione e di Scomparizione. Il Bosco dell'Errore, dell'Orrore (infantile). 

Il Bosco acceca il Palcoscenico in diversi modi: acceca metà della scena (le toglie un occhio); allontana l'Immagine, la occlude, la nega. Alla fine solo "le voci" sono possibili.

Il Bosco è il luogo che permette di vedere l'occlusione dell'Immagine. Il Palcoscenico è il luogo in cui si formula l'Immagine. L'Immagine formulata nega la visione. Il Bosco nega la funzione del Palcoscenico (del Teatro).

La perfidia della struttura di Kleist, che propone sottrae, la parola che "significa solo celando" e nasconde per significare determinano una Scena Impossibile: una trappola volta a condensare sempre la stessa metafora, lo stesso gesto; uno spazio che ammette unicamente soluzioni radicali: "movimento continuo", "scomparsa totale", "parole in colonna e flusso di immagini senza parole", "personaggi serializzati". 

In realtà si tratta di un oggetto tridimensionale che dovrebbe essere collocato in uno spazio non teatrale con il pubblico intorno da tutti i lati.

Intervento di Massimo Castri pubblicato alla voce Laboratorio in Patalogo 4 Annuario 1982 dello Spettacolo Teatro + Musica, Milano, Ubulibri, 1982, p.227 

DALLA RASSEGNA STAMPA

Da Castri, però, non c'è da attendersi un' adesione letterale; Egli va a scavare nelle viscere dei testi, tende a portarne alla luce alcuni grumi. Soprattutto, però, c’è da dire che sia che si cimenti con Pirandello o con Scabia, con Seneca o con Von Kleist, Castri mette in scena sempre il medesimo autore: che è poi se stesso.

Così, anche stavolta, egli si è rifatto a stilemi già sperimentati, rivedendoli, rifinendoli, portandoli talora all'esasperazione: propone un primo atto nel quale non ha toccato una riga del testo originale e poi, come già fece con “Hedda Gabler ", rimuove in toto il testo, opera un ribaltamento di scena, ricomincia con una nuova angolatura; gioca a nascondere i personaggi dietro colonne, a lasciare la scena vuota; punta ad un'iterazione che diviene anche ossessiva, smorzata da una recitazione nella quale abbondano risatine, giunge persino a una scarnificazione dei personaggi eccessiva, come allorché riduce l'iniziale scena del Tribunale della Vema ad un monologo fra tre persone che si danno il cambio, non in una grotta, ma alcune colonne a parte, sul nudo palcoscenico del Grande, lasciato alla vista del pubblico. [...] 


Marco Bertoldi, “CATERINA DI HEILBRONN" : non una prima ma una poco felice prova col pubblico in "Giornale di Brescia",  8 aprile 1981

Carla Chiarelli, Patrizia Zappa Mulas in prova 

ph_ Alabiso

Virginio Gazzolo, Patrizia Zappa Mulas, Carla Chiarelli 

ph_Alabiso ACTB

...il regista ha lavorato moltissimo sotto le increspature e la mobilità simbolica della scrittura di Kleist scavando anche questa volta in profondità ma estraendone blocchi e concrezioni associative piuttosto che smontandolo o mostrandolo spiato dal di fuori. Sta di fatto che, dopo le esperienze maturate nel clima del grande dramma borghese, Castri sembra alla ricerca di un linguaggio diverso; trovandosi ancora probabilmente nella fase di ambientamento, fa del suo avvicinamento al nuovo terreno di indagine (quello del teatro tedesco tra Settecento ed Ottocento) prima di tutto una questione di metodo. E non c'è da stupirsi, con simili presupposti, se l'approccio al testo diventa per lui ancora più laborioso del solito.

Sergio Colomba, Per scappare da Ibsen uno spettacolo aperto, in "Il Resto del Carlino", 16 aprile 1981

Meno piacevole di Rosmersholm, meno ingannevolmente trompe-l'oeil di Hedda Gabler, questa Caterina è uno spettacolo più profondo - e ci resta una gran voglia di vedere la seconda parte. 

Ugo Volli, È un amore troppo innocente  ed improvviso,  va processato, in "La Repubblica", 6 maggio1981

Massimo Castri, in capo a due mesi di lavoro su questa fiaba affascinante, ci espone la crisi in cui la pièce l'ha gettato. Il risultato sono due soli atti dei cinque del testo, in un rendiconto da laboratorio che vede tutti gli attori impegnati al limite della nevrosi, in una recitazione esasperata nella lentezza e in parodistica ironia.

Franco Quadri, Caterina di Heilbronn, in "Panorama", 18 maggio1981

ph_ Alabiso ACTB

Carla Chiarelli ph_ Alabiso ACTB

Virginio Gazzolo ph_ Alabiso ACTB

BIBLIOGRAFIA

I taccuini di regia di Caterina di Heilbronn, sono stati pubblicati parzialmente: Massimo Castri, Un segmento del percorso di regia, a cura di Antonio Sabbatucci in Attualità e presenza di Kleist, s.l, s.d., pp. 27-29.