Finale di partita

2009-2010 

FINALE DI PARTITA di Samuel Beckett

traduzione di Carlo Fruttero


regia Massimo Castri

scene e costumi Maurizio Balò

luci Robert John Resteghini

suono Franco Visioli

regista assistente Marco Plini


Interpreti Milutin Dapcevic (Clov), Vittorio Franceschi (Hamm), Diana Hobel (Nell),  Antonio Giuseppe Peligra (Nagg)


Produzione: Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro di Roma, Teatro Metastasio Stabile della Toscana

Debutto: Modena, Teatro delle Passioni, 30 marzo 2010


Note

Premio Ubu 2010 per il miglior spettacolo dell'anno ex-aequo.


Ripresa 2010_2011

Debutto: Modena, Teatro delle Passioni, 22 novembre 2011 

Massimo Castri: note dalla conferenza stampa ADMC

Vittorio Franceschi, Milutin Dapcevic 

ph_Marcello Norberth AERT

"... Come si sa è la prima volta che metto in scena Beckett, e la cosa in sé è per sé un po' preoccupa, perché fare un Beckett ormai è peggio che affrontare un classico, perché Beckett è un classico, e, contemporaneamente, anche la modernità per antonomasia, un incunabolo della modernità. Quindi ero preoccupato quando mi sono accinto a questo lavoro: sono arrivato a Beckett da sponde più vicine a me, alle mie abitudini di autori e di repertorio. Sono arrivato a Beckett stranamente, o forse non tanto, attraverso Cechov: è stata una sorta di cortocircuito tra la scrittura di Cechov e quella di Beckett, che mi ha spinto a curiosare fino a Beckett, sentendo molto vicini questi due autori. Si dice sempre “facciamo Cechov come se fosse Beckett”, io forse ho fatto il contrario..."

Vittorio Franceschi ph_Marcello Norberth AERT

"Vorrei ricordare, chiudendo l'intervento, una definizione che Beckett ha lasciato della scrittura, definizione che è quasi umoristica, ma anche terribile nella sua formulazione: "Non c'è niente da esprimere, niente con cui esprimere, nessuna capacità di esprimere, nessun desiderio di esprimere, e insieme c'è l'obbligo di esprimere". Ritengo che in questo brano ci sia il senso della scrittura di Beckett, una scrittura che si nega nel momento stesso in cui si fa, da cui nasce la difficoltà estrema di mettere in scena i suoi testi, e specialmente un testo come “Finale di partita” che è uno dei suoi enigmatici e misteriosi, perché qui c'è tutta l'ambiguità di una scrittura che vuole esprimere e contemporaneamente tende al silenzio". 

DALLA RASSEGNA STAMPA

Vittorio Franceschi, Milutin Dapcevic ph_Marcello Norberth AERT

Qui siamo ancora fra le pareti pericolanti del dramma borghese, seppur svuotate, con tanto di stucchi e camino sul fondo nella scena di Maurizio Balò, che veste in maniera identica i due personaggi principali, Hamm e Clov, una giacca da camera di un bel velluto cremisi -  quasi a suggerire un'intima parentela in quel rapporto ormai pinteriano. Tutto molto borghese. Ma anche molto aderente al testo. Perché quella pantomima o atto senza parole con cui si presenta Clov, con la sua andatura rigida e vacillante che rasenta la comica slapstick, quel suo avanti e indietro, e sali e scendi dalla scaletta da cui si può ancora guardare il mondo esterno, quella breve risata innaturale stanno già lì, alla lettera. Basta scrostare il testo dalle incrostazioni che vi si sono depositate sopra, e Castri in questo è bravissimo. Recitano Dunque Vittorio Franceschi e Milutin Dapcevic. Il primo, Il vecchio re giunto all'ultima mossa, gigioneggia per quanto gli è ancora possibile nella situazione costrittiva in cui è condannato, cieco e seduto su una sedia a rotelle. L'altro, il servo putativo che sta lì arroccato a dargli la battuta, con un repertorio di mimiche che passano come nuvole sulla sua faccina che ha una stupita fissità alla Stan Laurel. Recitano la propria sofferenza, infervorandosi nella parte fino a urlare. Inventano romanzi patetici o raccontano storielle che a forza di sentirle non fanno più ridere. Citano Shakespeare in maniera derisoria (un topo! Il mio regno per un netturbino!). Ed è come se le voci di tanto teatro che abbiamo attraversato si dessero convegno qui.

Gianni Manzella, Scacco matto al re, una metafora della vita, in “il manifesto”, 4 aprile 2010 

Diana Hobel, Antonio Giuseppe Peligra, Vittorio Franceschi ph_Marcello Norberth AERT

Foto del modellino della scena di Maurizio Balò

Il vero coup de theatre, se così si può dire, avviene però verso metà spettacolo, quando il servo Clov apre una delle finestrelle, e da fuori entra non il silenzio di un paesaggio spopolato, ma un allegro vociare di bambini che Hamm e Clov non sentono o fingono di non sentire. L'effetto dura un attimo, finché Clov richiude quasi con timore la finestra: basta tuttavia a spostare radicalmente gli orizzonti del testo, facendo dei due non gli angosciati sopravvissuti a una catastrofe, bensì dei disadattati isolati dal resto dell'umanità, esclusi dalla vita. Giocando sulle sfumature, la regia sembra mettere in secondo piano le componenti di "teatro nel teatro" tipiche della pièce, per farne invece risaltare alcuni tratti febbrilmente patologici [...]

Al suo primo confronto con l'autore irlandese, Massimo Castri rimane sostanzialmente fedele al copione e al tempo stesso strappa Beckett a Beckett, lo sposta verso una maniacalità quasi bernhardiana, come a sancire il superamento di certi traumi novecenteschi individuando invece nella paura della realtà, nella chiusura verso l'esterno una più adeguata chiave di lettura della nostra epoca. 

Renato Palazzi, Finale di partita per disadattati, in “Il Sole 24 Ore”, 4 aprile 2010.

APPROFONDIMENTI