John Gabriel Borkman (2002)

2001-2002

JOHN GABRIEL BORKMAN di Henrik Ibsen

Traduzione di Anita Rho


Regia  Massimo Castri

Scene e costumi  Maurizio Balò

Luci  Gigi Saccomandi

Musiche  Arturo Annecchino

Suono  Franco Visioli


Interpreti Vittorio Franceschi (John Gabriel Borkman), Ilaria Occhini (Gunhild), Pierluigi Corallo (Erhart), Lucilla Morlacchi (Ella Rentheim), Sara Alzetta (Fanny Wilton), Alarico Salaroli (Vilhelm Foldal), Silvia Ajelli (Frida).


Produzione: Teatro Stabile di Torino

Debutto: Torino, Teatro Nuovo, 9 Aprile 2002


Note:

Premio Ubu 2002 alla regia per Castri e alla scenografia per Balò che riceve anche il premio ETI-Gli Olimpici del Teatro. 


Ripresa 2002-2003 Vercelli, in collaborazione con la Città di Vercelli

Debutto: Vercelli, Teatro Civico, 9 Aprile 2003

Luciano Virgilio sostituisce Alarico Salaroli

Interviste a Castri

Vittorio Franceschi, IIaria Occhini, Massimo Castri durante le prove ph_Marcello Norberth

Vittorio Franceschi, Silvia Ajelli ph_Marcello Norberth

Alarico Salaroli, Vittorio Franceschi ph_ Marcello Norberth

"È un punto di arrivo della scrittura di Ibsen, che lo ha composto quasi settantenne.  Nella scrittura c'è un sapore diverso rispetto ai primi testi, quando era più serio e drammatico. I suoi ultimi lavori mi ricordano il Faust del vecchio Goethe. C'è dentro una sorta di amarezza allegra. Sono finti drammoni ottocenteschi in cui alligna la commedia. Ripassa i suoi temi più cari: il disagio della civiltà, l'impossibilità di far convivere il fare con il sentire, gli istinti e l'amore con l'operosità, il femminile con il maschile. Immagini, poi, che tutto è osservato attraverso l'occhio di un vecchio, quindi con molta più ironia, giocosità, disincanto e sarcasmo […] Il protagonista è una figura tragicomica in cui si impastano infanzia e clown. C'è un filone di allegria macabra nel testo. C'è la grande vendetta del femminile contro il maschile. La scrittura si sfalda, si apre verso il nuovo secolo. Tutto lo spettacolo è costruito su questo slittamento scenografico, visivo e recitativo che finisce nei grandi miti fondanti del nostro Novecento". 


Lo slittamento di un gran borghese con l'ambizione del titano, di due sorelle che si odiano e di un figlio che vuole fuggire. Vite su un ring. Nessuno vince. Qualcuno muore, qualcuno parte e chi rimane si fa ombra. Un buon finale per un addio.

Gian Luca Favetto, Sipario per un addio, in “La Repubblica”, 7 Aprile 2002 

"A me sembra che si possa leggere una specie di ilare atrocità in questi personaggi, e nel testo un clima quasi fiabesco. Per rendere questo clima li ho lasciati leggermente invecchiare, ne ho fatto degli anziani veri e propri. E ho attribuito a Borkman un aspetto molto simile a quello del vecchio Ibsen, come lo vediamo nei suoi ritratti: un vecchio un po' nano e barbuto" 


Ugo Volli, Castri: il mio Ibsen Vecchio e nano un superuomo contro le donne, in "La Repubblica", 8 aprile 2002

Un altro ibsen - ne ha già firmati quattro, con Rosmersholm, Hedda Gabler, e Il piccolo Eyolf-, un altro Borkman. Perché? Ama ritornare su cose già frequentate?

È un po' come Morandi quando faceva le bottiglie. Ifigenia l’ho fatta tre volte, il teatro non è un oggetto di consumo. Il grande teatro poi è altissimo artigianato che talvolta riesce a diventare poesia. Io lavoro così.

A lungo su un autore?

Il discorso della regia è un discorso di penetrazione, di identificazione, sia pure straniata, con un autore. E gli stessi autori, Ibsen e Pirandello ad esempio, scrivono un po' sempre lo stesso mito e lo ripetono variando. È un po' come il pittore che fa la pala di un altare, che torna a dipingere lo stesso soggetto. Per ottenere dei risultati che siano del tutto convincenti rispetto alla potenzialità del testo occorre riprenderlo. Poi ci sono altre ragioni, più pratiche.

Cioè?

Non puoi provare uno spettacolo 90 giorni, come sarebbe giusto, come riusciva a fare Strehler, unico in Italia. Ci vorrebbe tempo per lavorare sul testo, sui personaggi, su tutto; anche per gli attori che non devono essere bruciati. Purtroppo con i tempi di produzione che ci sono tu arrivi a fare quello che per un dipinto sarebbe il cartone. mentre ci sono le musiche, le luci... Tutto questo porta spesso a tornare su un'operazione,

Come il John Gabriel Borkman.

Sì in quello dell'87 avevo intuito la strada giusta, ma non ero arrivato in fondo [...] 

Questo Borkman è molto diverso da quello di allora? Sarete cambiati tutti e due, o no?

No, la sostanza è sempre quella, così come in me le cose cambiano e permangono. È la stessa personalità che matura e cresce. Probabilmente allora non ero così capace di farlo, quel Borkman. Adesso mi sembra più compiuto.

[...]

Ibsen in questa opera racconta di un uomo potente sconfitto, un vecchio che aspetta una rivincita che non verrà. È questo il tema della pièce?

Il centro dell'ultimo Ibsen è lo scontro tra le due antropologie e femminili e maschile, impossibilitate ad avere lo stesso scopo. È questo il grandissimo tema, ossessivo, dell'Ottocento, che ha un punto di nascita preciso già in Goethe, in Faust e Margherita. Ibsen illustra l'argomento in modo analogo a Freud: è lo stesso discorso fatto con altri strumenti. C'è un aprirsi verso il Novecento anticipando linguaggi e modi di vedere. E questo scontro uomo donna permane oggi, più forte che mai: con la mercificazione dell'eros è diventato una guerra ".

Castri e il pubblico.

Non faccio televisione né marketing. Il pubblico è un mio simile, non è un mio problema.

A un mese dalle dimissioni da direttore artistico dello Stabile, vuole riparlarne?

Non c'è un interlocutore per farlo. Non ho con chi parlare ".

Cristina Caccia, Castri e Borkman un vecchio amore, La Stampa, 9 Aprile 2002

Modellino scenografico

Nelle foto:Ilaria Occhini, Pierluigi Corallo, Sara Alzetta, Lucilla Morlacchi; Lucilla Morlacchi, Vittorio Franceschi, Ilaria Occhini; Vittorio Franceschi ph_Marcello Norberth

Bozzetti dei costumi di Maurizio Balò

Dalla rassegna stampa

Lucilla Morlacchi, Pierluigi Corallo, Ilaria Occhini ph_Marcello Norberth

Il nuovo Borkman di Castri non è più un gigante scontroso, ma un folletto sul punto di svanire nell'aere; ha preparato a lungo una rivincita, ma vi rinuncia non appena rientrato nel consorzio umano dalla sua solitudine, al vedere le sue due donne, la moralista e la passionale, contendersi il figlio, che fugge loro e il padre danzando sotto la neve, tra le braccia di una divorziata. Allora questa neve, che fuori non aveva mai smesso di cadere, mutando di intensità con le emozioni, in sintonia con le musiche di Arturo Annecchino, invade i nordici interni geometrici e grigioverdi che Maurizio Balò ha inserito l'uno nell'altro in una casa vista come un teatrino; mirabilmente, ad un tratto, fondali e quinte volano in cielo, lasciando la loro anima, cioè un ligneo porticato, che poi a sua volta si alzerà dal suolo, dove restano degli schematici alberi, tra i quali sbuca danzando il padre con la mancata madre. Di alberi ne rimarrà uno solo, per poco, mentre compare un cassone da cui Borkman tornato bambino, estrarrà una trottola, una tromba e un trenino per giocare l'ultima volta, prima di rinchiudervisi. Il dramma è divenuto una favola e le due donne, senza più vittime maschili potranno al fine abbracciarsi. Assieme alla visionaria lettura registica risplende l'umanità delle pedine che in quelle stupende geometrie si muovono..

Franco Quadri, Castri conquista Torino con il Borkman sognatore, in “La Repubblica”, 15 aprile 2002 

Al termine della sua breve stagione come direttore del Teatro Stabile torinese, Massimo Castri regala ad una città che forse non l'ha mai troppo amato e ad un folto pubblico di estimatori uno dei suoi spettacoli più intensi e affascinanti, quel John Gabriel Borkman che aveva già affrontato più di vent'anni fa in una edizione per molti versi solo sfortunata e che adesso riprende con una consapevolezza critica, una lucidità emotiva e intellettuale e straordinarie consegnandoci uno spettacolo assolutamente perfetto sia per quanto riguarda il suo ritmo drammatico interno, cioè il movimento dei personaggi, e le loro assolute, devastanti psicologie, sia per quanto concerne il piano visivo, impeccabile dal punto di vista scenografico, dei costumi, dell'intera superficie cromatica. 

Anzi, la relazione profonda che si stabilisce fra il mondo interiore dei personaggi e quello esterno, della natura circostante e del “visibile ", è la principale chiave di interpretazione dello spettacolo: ma questi due universi paralleli, attraverso un attento, quasi scientifico montaggio delle emozioni, seguono percorsi opposti. Intanto che la scena, nel corso dei tre atti, cambia, muta, viene cancellata per mostrare alla fine solo due elementi - un grande albero e un vecchio baule - nel mezzo di una gelida landa desolata, al contrario crescono a dismisura le temperie ideali, intime, irrazionali dei protagonisti di questa emblematica e poco" borghese "vicenda. 

[...] Una tragedia domestica con i suoi colpi di scena e ribaltamenti di situazione fino alla morte di Gabriel Borkman, vittima come il protagonista di Quarto potere del suo titanismo che si rovescia in regressione infantile, la fuga di Erhart da quella casa con la giovane ed esuberante Fanny, e la solitudine delle due sorelle, unite, come "femmine folli”, in un abbraccio che sa di desolazione e di morte. Magnifici tutti gli interpreti in una recitazione curatissima nei toni e nei gesti da assomigliare ad una partitura musicale.

Giuseppe Liotta, Femmine folli e uomini deboli per Ibsen, in "Giornale di Sicilia", 13 aprile 2002

Restano le due sorelle gemelle, vestite uguali, le due guardiane del nulla, pacificate dal non avere più niente per cui battersi. Due signore anziane, piene di rimpianti e di acciacchi, che forse, finalmente, potranno mettersi a fare la calza. Maria Grazia Gregori, Guai a soffocare l'amore, caro mister BorKman, in "L'Unità",  14 aprile 2002

Vittorio Franceschi, Lucilla Morlacchi ph_Marcello Norberth

Approfondimenti

BIBLIOGRAFIA

Roberto  Alonge,  Castri,  Borkman,  les  adieux,  in  "Drammaturgia",  quaderno 2002, pp. 7-12.

Gianna De Martino,  La fiaba del fanciullo  ritrovato:  "John Gabriel  Borkman” secondo Castri, in “Il castello di Elsinore", 46, 2003, pp. 109-132

Roberto Alonge, Provisional ending : (back to Ibsen), in "North-West passage : yearly review of the Centre for northern performing arts studies University of Turin. - Roma : Carocci ; Torino : Università degli studi, 2004-., n. 1 (2004) pp. 129-146

Massimo Ciaravolo, John Gabriel Borkman and the modern Homo Faber : a reading of the play as seen through Massimo Castri's second staging in Ibsen and Modern China, a cura di Chengzhou He - Bari, Edizioni di pagina, 2007,  pp. 213-234

Foto copertina: Lucilla Morlacchi, Vittorio Franceschi ph_Marcello Norberth