Quando si è  qualcuno

2003-2004


QUANDO SI È QUALCUNO di Luigi Pirandello


Regia  Massimo Castri

Scene e costumi  Maurizio Balò

Musiche Arturo Annecchino

Luci  Gigi Saccomandi

Suono Franco Visioli 


Interpreti: Giorgio Albertazzi (Qualcuno), Paola Bacci (Giovanna), Paolo Calabresi (Tito), Bruna Rossi (Valentina), Fernando Pannullo (Giaffredi), Renato Scarpa (Modoni), Miro Landoni (Cesare), Pietro Faiella (Pietro), Anna Sesia (Natascia), Giovanna Di Rauso (Veroccia), Beppe Loconsole (Scelzi), Silvia Frasson (Diana), Danilo Vitale (Sàrcoli), Gaia Insenga, Marco Manca, Francesco Martino, Benedetto Sicca (giovani delaghiani), Roberto Baldassari (Primo giornalista), Luca Di Prospero (secondo giornalista), Luca Carboni (commesso di una casa di dischi), Giuliano Esperati (commissario di polizia), Barbara Santini (Madre superiora), Cristiano Pasca (Fotografo), Andrea Ruggieri (Fotografo), Giuliano Brunazzi, Antonio Cuccovillo, Monica Mignolli (Invitati), Elisa Lucarelli, Claudia Beccaria, Matteo D'Angeli, Iacopo Giorgi, Irene Giorgi, Antonello Rocchi (Ragazze e ragazzi di un educandato)


Produzione Teatro di Roma e Teatro Biondo Stabile di Palermo. 

Debutto: Roma, Teatro Argentina, 10 marzo 2004.


Maurizio Balò vince il Premio ETI-Gli Olimpici del teatro 2004 per la scenografia.

Dalla rassegna stampa

Massimo Castri e Giorgio Albertazzi durante le prove 

ph_Serafino Amato ATDR


"Spaccami dietro", dice al figlio Tito ***, autobiografico nonché oscuro protagonista di Quando si è qualcuno di Luigi Pirandello, "e allogami nello stomaco il grammofono. Così parlo. E voi tutti mi state a sentire". Se c'è un pupazzo sventrato nella messinscena firmata da Massimo Castri di questa pièce pirandelliana, crepuscolare e quasi mai rappresentata, non è certo quello del povero autore interpretato da Giorgio Albertazzi che vorrebbe prolungare la propria giovinezza artistica con uno pseudonimo e una nuova amante. Lui, al contrario, pare assai più vivo sia dai corvi familiari che lo assillano, neri e coperti fino al collo anche d'estate, sia dei giovani elfi che lo tentano, vestiti di colorati accappatoi anche d'inverno.

A essere aperto con un colpo netto, definitivo, è il frutto bacato del testo, da cui l’immaginifico cinismo di Castri toglie il letale siero del pirandellismo - una dialettica tra vita e forma che nel 1933 è ormai pure afasia - per liberarne le parole non dette, i desideri rimossi, i sogni non fatti. E se si attendeva una sorpresa dalla rappresentazione di questo dramma, legato alla figura di Marta Abba, e all’ "atroce notte di Como -" in cui Pirandello avrebbe rifiutato la giovane attrice, non è nella pruderie del “biografema" che la si ritrova. Ma nella trasformazione di ogni fantasma in corpo - a partire da quello della piccola e intrigante Veroccia a cui dà vita Giovanna Di Rauso, a gambe nude dall'inizio alla fine - poi di ogni corpo in sogno, in una delirante progressione che è insieme agonia e fiabesco viaggio nell'aldilà. Castri non spia, per usare il crudo gergo pirandelliano, “spacca"; e per cominciare spacca gli interni - lo studio del primo atto, la biblioteca del secondo - trasferendo l'azione in un giardino che da una calda luce meridiana trapassa nel grigiore dell'autunno, prima di chiudersi nell'abbagliante apoteosi di una tormenta di neve. Il cancello che a inizio spettacolo si apre sul fondo diviene alla fine una cimiteriale e insuperabile inferriata che segrega l'intera scena. Cesare, il vecchio guardiano che faticosamente la scosta per far entrare gli ospiti, è ormai un custode da mondo dei morti. Tradotto nel silenzio dell'Ade questo Pirandello mai troppo vivo a onda del petulante vitalismo del testo, ci guadagna: immersa nella rarefatta sonorità di una natura checoviana, la fredda rinunzia del suo Qualcuno alle gioie di un eros tardivo ritrova il suono di un vero rimpianto e i sofismi della sua lunga excusatio davanti al diavoletto di Veroccia, stretta nella sua tunica rossa sono solo le stentate giustificazioni di un'anima vile che, nella luce della féerie, ha finalmente perduto quella volontà di potenza che è il tratto più ripugnante del personaggio.

Annunciato, temuto, chiacchierato, l'incontro tra massimo Castri e Giorgio Albertazzi riesce nel modo più paradossale: Il regista scontorna l'Attore dal disegno e ne fa il centro vuoto di tutta la scena. Là dove gli altri animano la corale sarabanda del suo funerale - funerale d'autore che si celebra già in vita - il signor tre stelle, segno poetico sempre più lieve, sempre più vago, sprofonda in un isolamento intangibile, compiendo la propria trasformazione in statua cioè in derisorio pupazzo di neve. Vestito di bianco, quasi indistinto dallo sfondo, nel suo controcanto solipsistico e insolitamente frugale, Albertazzi sembra ancora inseguire i sogni malandati del milleriano Mr. Peters interpretato qualche tempo fa appunto

Quando si è qualcuno, si muore, non perché si possa decretare - come ripete nel grammofono il disco rotto del pirandellismo - la propria morte, restando chiusi "a guardia di sé stessi". Solo perché la parte più friabile della vita, il desiderio, è anche fatalmente la più segreta, la meno riducibile allo sguardo degli altri e a ogni presunzione di immortalità. È sul terreno dell'invisibile, del resto, che la bulimica visionarietà di Castri vince la sua lunga battaglia per o, se si preferisce, contro Pirandello, sbaragliando il bianco e nero della sua moralità borghese, scompaginando a forza di invenzioni le sue didascalie totalitarie, recidendo i fili delle sue marionette.

Da questa esemplare ricostruzione di un Pirandello minore, ancor più che dal precedente allestimento di Questa sera si recita a soggetto, sarà difficile tornare sui passi del già visto e del già detto. Nella speranza che anche dall'apice di quella che si è rivelata, tutto sommato, una stagione positiva del Teatro di Roma non si torni indietro. E che all'Attore, subentri veramente, come qua e là si mormora (forse più nell'ansia di bruciarne il nome che di promuoverlo), il regista. Chissà che Massimo Castri non riesca a concludere a Roma il lavoro che a Torino gli è stato impedito di portare a termine.


Attilio Scarpellini, Oltre il cancello, in “Diario della settimana”, 12 marzo 2004 p.54.

Anna Sesia, Giorgio Albertazzi, Pietro Faiella

ph_Serafino Amato ATDR

Giorgio Albertazzi

ph_Serafino Amato ATDR

 [...]  l'allestimento di Massimo Castri, è affettuoso almeno quanto è sontuoso, e a tratti ispirato. Scena unica di Maurizio Balò, anche responsabile degli spiritosi costumi: non i previsti studi, ma un giardino con enormi alberi disneyani in tre stagioni, una per atto, fine estate, autunno e inverno con una incessante nevicata (la coppia Castri-Balò lo aveva già fatto per Mishima). Invece di lavorare a tavolino, il nipote Pietro ruzza con le due russe, tirandosi un pallone, in accappatoi come alla spiaggia. Dopo, i vari gruppi che si riversano a ondate sul protagonista sono diversamente colorati, in nero come avvoltoi i parenti, l'editore, l'amico, in avana sportivo i giornalisti e i fans di Dèlago - i due schieramenti si fronteggeranno anche in uno spassoso coro rossiniano - in blu alla marinara i bambini dell'educandato: tutte macchiette più o meno grottesche, come appaiono al pivot Giorgio Albertazzi, superbo nel suggerire il contrasto di saggezza e di follia di uno che pur sapendola più lunga di tutti è poi costretto alla resa. La Hilda di questo Costruttore Solness è Giovanna di Rauso, non rossa come l'Abba, ma in una rossa giacca di spugna che le lascia scoperte le lunghe gambe nude, sola carne viva che lampeggia nella paludata solennità delle tenute degli altri. Quando grida la sua delusione questa Veroccia si toglie anche quella e si offre invano disperata e attraente - ma *** ha ormai deciso di essere vecchio.


Masolino D'Amico, C'è tutto Pirandello nel poeta-Albertazzi, La Stampa, 12 marzo 2004

BOZZETTI DI SCENA di Maurizio Balò

BOZZETTI DEI COSTUMI di Maurizio Balò

BIBLIOGRAFIA

Thea Dellavalle, Pirandello revenant, in “Il Castello di Elsinore” n. 55, 2007, pp. 7-69.


Foto di copertina: Anna Sesia, Giorgio Albertazzi, Giovanna Di Rauso, Pietro Faiella ph_Serafino Amato ATDR