I costruttori di imperi

1972_1973

I COSTRUTTORI DI IMPERI  di Boris Vian

Traduzione di Massimo Castri


Regia  Massimo Castri

Scene  Renato Borsoni

Costumi  Marisa Germano

Musica  Sergio Liberovici


Interpreti (odl): 

Piero Domenicaccio (il padre), Salvatore Landolina (lo schmürz/ il vicino), Tullia Piredda (Zenobia, la figlia), Clara Zovianoff (la madre), Patrizia Costa (Cruche, la domestica).


Produzione: Compagnia della Loggetta di Brescia

Debutto: Brescia, Teatro Santa Chiara, 19 dicembre 1972


Note: 

Nel corso delle recite Patrizia Costa è sostituita da Marisa Germano.

Ripresa 1973-1974

Walter Cassani sostituisce Piero Domenicaccio, Sergio Tardioli sostituisce Salvatore Landolina

Debutto: Milano, Teatro Uomo, 19 febbraio 1974 

DAL PROGRAMMA DI SALA

Da un'intervista a Massimo Castri 

"La nozione di conflitto si mescola alla forma teatro", scrive Copfermann;  in che rapporto sta questa regia con "La Loggetta" rispetto alle sue esperienze precedenti?


Questo problema, del linguaggio per un teatro politico, mi ha molto interessato; credo pure sempre che in proposito ci venga la massima indicazione da Brecht. Lo sforzo di un teatro politico si situa al proprio interno, quando deve ancora strutturarsi come spettacolo, con un rapporto dialettico fra i propri elementi. Ho cercato di realizzare questo anche con la regia del copione di Vian, che per me è stato però, innanzitutto, un deliberato approccio con la prassi tecnica di uno spettacolo, di cui sentivo la necessità; perciò, direi con umiltà, ho scelto un testo "chiuso”, col quale è giusto fare un'esperienza simile. Ho cioè preferito un testo datato per sperimentare il “fare regia” dall'altra parte della barricata, pur continuando a ritenere che la figura del regista dovrebbe scomparire. 


In Boris Vian domina il tema dell'allucinazione quotidiana della fuga e della solitudine, come connotati di una certa situazione borghese che si scarica in cieca violenza; ha pensato a una ulteriore precisazione sulla scena?

Ho pensato a lungo alla possibilità di rendere il testo più legato a una realtà propriamente quotidiana; ma ho concluso che sarebbe stata una violenza inutile che avrebbe svilito l'opera. bisogna essere consapevoli di certi “limiti di portata", il testo di Vian è fragile, occorreva operare al suo interno; l'ho fatto tramite un ribaltamento linguistico, realizzandolo come un testo tardo surrealista, mantenendone intatta l’ambiguità che a mio avviso è il suo aspetto più interessante è ancora attuale.


Come Billetdoux scrisse a suo tempo, lo Schmurtz "è un essere", la sua regia ne precisa i connotati umani in rapporto con il particolare spessore del suono...

Non è musica elettronica, è, appunto, materiale concreto. Il piccolo borghese scappa da una realtà che non capisce più: ai tempi di Vian, la situazione era determinata dalla guerra di Algeria, oggi è un fatto più generale. Così, per non perdere l’ambiguità del testo, non ho reso del tutto identificabile il rumore pauroso, procedendo da un massimo a un minimo di chiarezza: apre lo spettacolo, ad esempio, il suono delle ruspe sotterranee che ho registrato a 700 metri di profondità, nella miniera di carbone di Miccioletta, poi, attraverso rumori di fabbricanti di lavoro, registrazioni di sciopero, si arriva al finale, col pianto di un bambino.

Da: F. D., Massimo Castri: decentriamo la produzione, Sipario n. 326, luglio 1973, p.34

Piero Domenicaccio e Massimo Castri in prova, ph Alabiso ACTB

Clara Zovianoff, Salvatore Landolina, Tullia Piredda ph Alabiso ACTB

Piero Domenicaccio, Salvatore Landolina, Clara Zovinanoff, ph Alabiso ACTB