Ifigenia in Tauride

1993-1994

IFIGENIA IN TAURIDE di Euripide

Traduzione di Umberto Albini


Regia Massimo Castri

Scene e costumi Maurizio Balò

Musiche Arturo Annecchino

Luci Sergio Rossi

Suono Franco Visioli


Interpreti: Annamaria Guarnieri (Ifigenia), Giulio Scarpati (Oreste), Antonio Latella (Pilade), Franco Mezzera (Toante), Tullio Sorrentino (Messo, Mandriano), Paola Della Pasqua (Atena)


Produzione: Teatro Stabile dell’Umbria

Debutto: Perugia, Teatro Morlacchi, 20 marzo 1994.


Note

Annamaria Guarnieri vince il premio Ubu per le interpretazionidi Ifigenia di Clitemnestra in Elettra.

RIPRESA 1994-1995

Debutto: Perugia, Teatro Morlacchi, 13 ottobre 1994.

Anna Gualdo sostituisce Paola Della Pasqua

Massimo Castri su Ifigenia in Tauride 

Con Ifigenia in Tauride il percorso di uscita (sia tematica sia formale) dal territorio culturale della Tragedia, è già compiuto: siamo "altrove": un paesaggio sconosciuto dove tutto è da inventare sia per l'autore sia per il personaggio. I temi sono radicalmente mutati: ora al centro dell'azione drammatica non c'è più il "conflitto tragico" (la contraddizione irrisolvibile ed enigmatica di Edipo di Antigone) ma il più umano problema di "salvarsi la vita" per riprendere il cammino verso...??... verso qualcosa che non si conosce, che non è più il passato ma non è ancora un futuro riconoscibile: i piccoli e umanissimi anti-eroi di Euripide devono anche re-inventarsi la vita sulle macerie di una cultura e di una civiltà che stanno esplodendo. il percorso di critica e di trasformazione della "tragedia" iniziato con Elettra, qui in Ifigenia è compiuto: siamo addirittura al rovesciamento: al centro dell'agire degli "eroi" ora sta la "furbizia" e l'arte difficile del sopravvivere (che non casualmente è l'arte dei servi della commedia). Ifigenia in Tauride (insieme ad Elena e Ione) si pone in questo confine estremo del percorso della scrittura innovativa di Euripide. Non è più "tragedia" ma non è nemmeno la "vecchia" o “nuova" commedia: anticipa il romanzo ellenistico, ma può ricordare gli ultimi grandi romances di Shakespeare o addirittura certe mitologie del nostro Novecento (Beckett?): spalanca territori di racconto e di scrittura del tutto inediti. È infatti una scrittura che si confronta genialmente con una realtà in profondo e rapido mutamento: la polis armoniosa a cui fa riferimento Eschilo si va decomponendo tra nuovi scontri di classe e guerre di espansione: gli dei sembrano giocare capricciosamente con i destini degli uomini, i quali cominciano a capire di essere soli sotto il cielo e privi di certezze. Di questa nuova umanità non-eroica Oreste è il campione: in conflitto con il proprio passato, impegnato a salvarsi la vita, in viaggio perché verso un “altrove" e un futuro che devono ancora definirsi. Ifigenia in Tauride potrebbe finire con questa sequenza cinematografica (possibilmente in cinemascope e con gli stupendi colori degli anni Sessanta): una barchetta sul mare dentro un rosso tramonto: dentro la barca Oreste e Pilade che remano a tutta forza verso una salvezza imprecisata, ed Ifigenia che si tiene stretta la statua della divinità rubata, pegno di una salvezza promessa da un'altra divinità, che forse non manterrà la promessa. 

Massimo Castri, Da Elettra ad Ifigenia in Tauride. Il percorso critico di Euripide dentro la tragedia, foglio di sala.

Bozzetti preparatori della scenografia di Maurizio Balò

Maurizio Balò, bozzetti preparatori per la scenografia

Maurizio Balò, bozzetti preparatori per la scenografia


Bozzetti dei costumi di Maurizio Balò

Il bozzetto della Corifea non è stato realizzato per lo spettacolo.

Dalla rassegna stampa 

Continuano al Teatro Stabile dell' Umbria le avventure della Famiglia Atridi. Con quel pizzico di partito preso e il gusto dell'eccesso che lo contraddistinguono nella vivisezione degli autori, Massimo Castri dirige il tiro su Euripide; affratella quindi il più umano e il più decadente dei tragici greci, spesso vicino al traguardo del grottesco e alla divagazione narrativa, ai prediletti scrittori che, alla fine dell' Ottocento conducevano i loro drammi al confine dei generi, verso la dissoluzione del personaggio. Nell' obiettivo del degradato "serial" non troviamo più gli eroi della guerra di Troia, ma i loro figli traumatizzati e incerti, che anni fa Mario Martone aveva già riunito in un suo sfortunato spettacolo collage, La seconda generazione

Tre mesi fa abbiamo incontrato Elettra catturata col fratello dalla fatale trappola del destino, in un'assolata campagna consacrata a più tardive vendette rusticane; e in attesa di un Oreste immerso tra veleni terroristi, come nei saggi che precedettero in un atelier estivo di Costa Ovest questi allestimenti, eccoci in Ifigenia in Tauride al ritrovamento della sorella clandestinamente sopravvissuta in Scizia, dove la fama la voleva sacrificata dal padre agli dei. 

E' stata lei a mettere in moto questa fase di una saga famigliare già avviata da un passato di sanguinose maledizioni. Ma è casuale e romanzesco che inaspettatamente se la trovino di fronte ora il nominato fratello e il cognato Pilade, arrivati in Tauride per impossessarsi del simulacro di Artemide, da lei custodito come sacerdotessa, per ordine di un altro dio, che lo esige per liberare lo stesso Oreste dalla persecuzione delle Erinni. Che gli dei sapessero e si proponessero di ricomporre un nucleo di consanguinei non appare tanto certo. Forse è più opportuno credere alla traduzione di Umberto Albini, insinuante e maliziosa nell' intento demistificatorio di riportarsi a un livello colloquiale, che quando l' agnizione sorprende nella periferica contrada i due smarriti rampolli, fa dire al fratello minore: "Non ti faccio domande, entrerei nel regno dell'assurdo". Ma nella drammaturgia dell'assurdo a questo punto siamo già entrati in uno spettacolo inquietante che coinvolge anche quando irrita, leggibile come un affettuoso omaggio alle stravaganze audaci e sempre acute di Aldo Trionfo, di cui lo stesso Albini fu illuminante collaboratore. Nell' immobile paesaggio di rocce che, nel disegno di Maurizio Balò, dalla spianata centrale si alzano a gradoni irregolari sulla destra a configurare i ruderi di un tempio, sotto un plumbeo cielo mediterraneo dove s'alternano imbambolati e indifferenti la luna e il sole, al riparo delle onde che sentiamo rifrangersi invisibili, i due esploratori arrivano come malconciati giramondo di Verne con corredo di bagagli, bombette e foulard sopra ai vestiti stracciati da clochard; e tra gag clownesche s'installano uno contro le spalle dell'altro, a interrogarsi su un ipotetico futuro, come Vladimiro e Estragone in Aspettando Godot. E' in ballo, è vero, la loro sopravvivenza, perché gli stranieri che approdano in quella terra sono condannati a morire. Nel dialogo di sapore surreale che li contrappone alla congiunta non ancora svelata, s'inventano allora stralunate e avventurose scappatoie, che sfoceranno in uno scalcinato piano d'evasione. Tutta bianca nei suoi veli come una sposa (mistica), con un sacro cuore da ex voto tra le bianche collane che le scendono sul petto, agitando un aspersorio, l' Ifigenia di Annamaria Guarnieri è deliziosamente verista nel cercarsi inutili occupazioni, mentre borbotta o farfuglia sommessa, parlandosi addosso, perché le è stato tolto il coro come interlocutore d' appoggio. Di fronte a lei il barbuto Giulio Scarpati, privato del suo riconoscibile cliché e buttato sul comico, e il suo alter ego estroverso, Antonio Latella, punteggiano i lunghi tempi immobili dell' isolamento beckettiano con spunti attinti all' avanspettacolo, al cinema comico, a storici fumetti. E' un exploit discontinuo ma funzionale, che conduce l'eterogeneo terzetto a scappare col busto nero della Madonna di Chestokowa, nella finzione Artemide. Ma Castri, che difficilmente riesce a controllarsi quando pigia il pedale del grottesco, dev'essersi detto a questo punto che non bastava qualche "Miserere" a irridere la religione con l'irriverente Euripide, o l'attualizzazione a ridimensionare il mito. L'ingresso del re Toante in veste di eccentrico lord inglese del periodo coloniale, con schiavo e ombrellino, ci scopre allora gli orizzonti dell'opera e non solo perché lo spiritoso Franco Mezzera, ingenuamente burlato dai nostri eroi, ci diletta con un'aria. Tra le turqueries arriva un confuso e troppo facile accumulo di forzature, compreso il canonico pernacchio, tra i messaggi di uno scalcagnato Venerdì in cappello napoleonico (Tullio Sorrentino) e la discesa dal cielo, appesa a un filo come in un' opera barocca, di Atena, che con le sue ali si affratella ai Dioscuri visti in Elettra e si allinea agli angeli che tanto appassionano i registi italiani. L'aspetta, con gli altri, un sestetto di congedo apparecchiato da Arturo Annecchino per propiziare gli applausi, che dal Teatro Morlacchi piovono spontanei e fragorosi. Come dire che la dissacrazione paga se è un po' corriva.


Franco Quadri, Barboni giramondo ma figli di eroi, in "La Repubblica", 26 marzo 1994

Annamaria Guarnieri ph_Tommaso Le Pera

Foto di copertina:  Tullio Sorrentino (Messo, Mandriano), Paola Della Pasqua (Atena), Franco Mezzera (Toante), Annamaria Guarnieri (Ifigenia), Giulio Scarpati (Oreste), Antonio Latella (Pilade) ph_Tommaso Le Pera ATSU