Il misantropo

2010-2011

IL MISANTROPO di Molière

traduzione di Cesare Garboli


regia Massimo Castri

scene e costumi  Maurizio Balò

luci Gigi Saccomandi

musiche  Arturo Annecchino

suono  Franco Visioli


Interpreti: Massimo Popolizio (Alceste), Graziano Piazza (Filinto), Sergio Leone (Oronte), Federica Castellini (Célimène), Davide Lorenzo Palla (Basco), Ilaria Genatiempo (Eliante), Andrea Gambuzza (Clitandro), Tommaso Cardarelli (Acaste), Laura Pasetti (Arsinoè), Miro Landoni (Guardia, Du Bois) 


Produzione Teatro di Roma - Teatro Nazionale

Debutto: Roma, Teatro Argentina, 12 ottobre 2010


Note: 

Maurizio Balò vince il premio Ubu 2011 per la scenografia.

DAL DOSSIER SULLO SPETTACOLO: INTERVISTA A  MASSIMO CASTRI

Massimo Popolizio ph_Amato ATDR

Massimo Popolizio, Graziano PIazza ph_Amato ATDR

[...] Alcuni critici si sono spinti a dire, e questo mi sembra abbastanza vero, che il testo del Misantropo è un testo che rappresenta un momento di crisi proprio in rapporto alla funzione che Molière attribuiva alla commedia intesa come strumento di critica dei vizi nel senso seicentesco del termine, ovvero vizi nell'anima. In questo testo sembra che non sia più chiaro lo scopo della commedia, tanto è vero che la risata (che è lo strumento di questa critica) non è più collocata nel suo posto centrale all'interno della commedia. Questo si riflette nella storia della critica del testo attraverso le epoche, tanto è vero che già nel Settecento veniva letto in maniera completamente diversa: se nel Seicento veniva considerato una commedia e Alceste un personaggio di commedia del quale si ride, nel Settecento diventava un testo in cui il protagonista era una sorta di eroe agli occhi di personaggi importanti come Rousseau e Goethe [...] 

Il personaggio è definito nel titolo misantropo ovvero, secondo gli schemi medici del Seicento una persona affetta da umore atrabiliare, qualcosa che potrebbe essere tradotto come un comportamento da melanconico esoso, Ma che oggi perde questa connotazione patologica per prendere i tratti di un comportamento di un uomo che vive sostanzialmente un profondo disagio nel mondo che lo circonda e che a causa del suo carattere, reagisce spesso a questo mondo in maniera eccessiva. Quindi è un po' difficile, oggi, considerare Alceste un malato come potevano essere altri personaggi comici e protagonisti delle commedie di Molière; è un personaggio complesso difficile sia per chi fa la regia sia per chi lo interpreta, perché presenta molte ambiguità oltre all'ambiguità originaria di un personaggio comico di cui non si può ridere.


[...] Credo però che se uno dei motivi che possono aver spinto Molière ad inserire un personaggio come Célimène può essere il gusto del contrasto e la speranza di derivarne delle situazioni comiche, e anche vero che è importante l'aspetto autobiografico contenuto nel Misantropo. Sicuramente Molière in Célimène ha rappresentato la giovane moglie sposata da poco, che aveva tutte le caratteristiche del personaggio e quindi è chiaro che su Célimène c'è il sospetto che risponde anche a delle logiche non soltanto narrative, ma sentimentali affettive, un velo di misoginia che nel testo si riesce a intravedere qua e là. Basterebbe pensare a quello che è il gesto finale, straordinario per il teatro di Molière: nel quinto atto quando Alceste ha perso il suo processo si spalanca un processo di tipo diverso questa volta nel salotto, un processo a Célimène che viene condannata e ridicolizzata dai suoi compagni di società. 

DALLA RASSEGNA STAMPA

Maurizio Balò, foto del modellino della scenografia

Lo spazio è quello di un salotto da cui si accede per due piccole porte da cui entrano i personaggi, costretti a chinarsi per passare. Le pareti di quel boudoir sono tappezzate di specchiere in stile rococò. In quegli specchi i personaggi si riflettono, il loro ego si moltiplica in quella stanza il cui accesso necessita del gesto di chinarsi, un atteggiamento meccanico ma non privo di valore simbolico: un'umiltà costretta e costrittiva che mal s'addice ai personaggi della pièce. L'intero allestimento è caratterizzato dall'abbinata del bianco e nero con tocco di colore nelle parrucche secentesche degli interpreti maschili. In questa situazione scenica di perdita di prospettiva, di disperato egoismo e solitudine sembra possibile leggere questo Misantropo che non ha nulla di comico, ma è attraversato da una costante tensione drammatica.

Nicola Arrigoni, Il Misantropo, www.sipario.it, 30 novembre 2010

Miro Landoni, Massimo Popolizio, Federica Castellini, ph_Amato ATDR

Una scena in bianco e nero, qualche panchetto per fare salotto, tre pareti di eleganti specchi dalle cornici bianche che assomigliano a tanti occhi che guardano, per riflettere immagini di persone e amplificare il loro “apparire” come una cassa di risonanza. Questa è la corte del Misantropo di Massimo Castri, che si avvale delle scene e dei costumi di Maurizio Balò: una corte essenziale ma raffinata, che lascia lo spazio della ribalta alle parole di Molière.

All’inizio del terzo atto, Acaste si specchia vanitosamente elogiando la sua vita perfetta, la sua bella presenza, le sue fortune in ambito sociale, professionale, personale. Poi si siede e guardando a terra confessa invece la sua comica disperazione: “Mancano pochi giorni… e mi impicco!”. Gli specchi risaliranno nell’ultima scena come a togliere ogni maschera, per mostrare la realtà e l’“essere”, nel momento in cui non è possibile più fingere, e la frivolezza e la slealtà di Célimène non hanno più maschere da indossare.

I costumi sono tutti neri, a eccezione proprio dell'abito bianco di Célimène, la reginetta attorno cui tutto ruota, forse l’unica che a questo gioco di apparenze crede per davvero, l’unica che sotto la superficialità e la civetteria ha solo il vuoto. Fanno colore le parrucche regali dei vari personaggi: dorate, color rubino, sfarzose come altezzose criniere di leone. L’unica a non averla è Alceste, che con i suoi lunghi capelli neri stile dark sembra proprio essere fuori da tutti i giri.

La regia non è invadente e Castri fa un lavoro eccelso sulla recitazione, complice anche un cast di grande livello. Ne emerge il testo in tutta la sua incredibile acutezza: grazie alla splendida traduzione di Cesare Garboli, più ci si rifà al Seicento e alla corte del Re, più si risulta attuali. Forse per questo non ridiamo alla leggera, visto che questo mondo assomiglia così tanto alla nostra quotidianità, in cui quando si parla di amicizia, si pensa immediatamente a quella su Facebook.


Maria Rosaria Corchia, Un Misantropo da ammirare, www.giudiziouniversale, 24 novembre 2010

BOZZETTI DEI COSTUMI di Maurizio Balò

APPROFONDIMENTI