Tre Sorelle

2007-2008

TRE SORELLE di Anton Cechov

Traduzione di Gerardo Guerrieri


Regia Massimo Castri

Scene e costumi Maurizio Balò

Luci Gigi Saccomandi

Musiche Arturo Annecchino

Suono Franco Visioli


Interpreti (o.a): Roberto Baldassari (Fedotik), Paolo Calabresi* (Kulygin), Claudia Coli (Natalja), Milutin Dapčević (Solényj), Angelo Di Genio (Rodé), Miro Landoni (Ferapont), Mauro Malinverno (Andréj Prozorov), Laura Pasetti (Maša), Sergio Romano (Veršinin), Bruna Rossi (Olga), Roberto Salemi (Tuzenbach), Renato Scarpa (Čebutykin), Alice Torriani (Irina), Barbara Valmorin (Anfisa)


Produzione Teatro di Roma

Debutto Roma, Teatro Argentina, 1° ottobre 2007 

Note

Dalle repliche di Torino alla fine della tournée Pietro Faiella sostituisce Paolo Calabresi nel ruolo di Kulygin.

Maurizio Balò riceve il Premio dell’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro 2008.

Da un'intervista a Massimo Castri di Gianfranco Capitta nel programma di sala

Massimo Castri ha indagato come nessun altro il teatro fra Ottocento e Novecento. Ibsen, e ancor più Pirandello, sono stati oggetto di una ricerca e di un approfondimento che si prolungano lungo l'intero arco del suo lavoro. Curiosamente, dei grandi autori di quel periodo, Čechov è rimasto il più "trascurato". L'unica opera dell'autore russo è stato Il gabbiano, realizzato negli anni Ottanta con Anna Maria Guarnieri protagonista. Perchè questo interesse minore, che però si rinnova adesso con queste Tre sorelle

Perchè affrontare Čechov costituisce sempre una partita molto particolare. Non sentivo questo, probabilmente quando affrontai  Il gabbiano, ma col tempo, mi è sempre più chiaro; affrontare Čechov è come un "combattimento con l'angelo": una partita a rischio.

Insomma Čechov è un avversario temibile?

Sì, e lo si sa da prima. Senza addentrarsi in analisi troppo specialistiche, Čechov è un punto di arrivo estremo del linguaggio del realismo. Giustamente Gorkij disse, rispetto a Čechov, "cosa mai può essere ancora scritto dopo di lui nell'ambito del realismo?". È un punto di arrivo estremo del realismo ama anche un suo superamento. Per muoversi verso qualcosa che però non è definito, ma è racchiuso dentro quella stessa perfezione e rarefazione propria del suo realismo. Ci si muove quindi in un territorio sostanzialmente sconosciuto, dove sembra di conoscere tutto, ma in realtà non si conosce niente. Questo è abbastanza vero per tutta la produzione di Čechov, ma lo è in maniera molto forte per le Tre sorelle. Dentro questa "soglia" tra Ottocento e Novecento, costituita dal teatro di Čechov, le Tre sorelle costituiscono il punto estremo: un testo unico all'interno del corpo della sua scrittura. Io, da quando leggo Čechov, ho sempre considerato le Tre sorelle come il punto più radicale di una ricerca che si protende, varcandone il passaggio, verso un territorio indefinito, un territorio che potremmo chiamare grossolanamente il Novecento (e bisognerebbe intendersi su cosa è il Novecento). Ma si spalanca su quell'altro "deserto" che è il secolo ventesimo. Nelle Tre sorelle ci si muove dentro una perfezione realistica che più perfetta non potrebbe essere. Sembra di muoversi dentro una partitura per molti versi intoccabile, che è già una contraddizione rispetto al discorso della regia (se fosse intoccabile, che senso avrebbe lavorarci?). Viene anche la tentazione di limitarsi a leggerla: la pagina cechoviana "letta" è come una partitura letta da un musicista in grado di "sentirla" come se fosse già suonata da un'orchestra.

Qual è il carattere più evidente di questa "perfezione realistica"?

Il fatto che sia ottenuta come un movimento "a togliere" che nei confronti del teatro è un movimento piuttosto perfido perchè toglie tutto quanto al teatro ottocentesco è essenziale. Il grande teatro ottocentesco si muoveva pur sempre dentro delle convenzioni;  Čechov le toglie ad una ad una ed alla fine ti lascia in mano qualcosa che non si sa più bene cosa è.  Tre sorelle è un testo estremo ma anche unico: ad esempio Čechov elimina qui il personaggio principale (che ancora essite nello Zio Vanja e anche nel Giardino dei ciliegi); elimina totalmente l'intreccio, o almeno quello principale che dovrebbe catalizzare il racconto teatrale; elimina sostanzialmente anche ogni rapporto conflittuale tra i personaggi che, senza conflitto, da cosa possono essere legati?

E questi, allora, come "galleggiano" in scena?

Appunto, galleggiano, vivono, come "sospesi",  in una sorta di altro che resta oscuro. Ma questi sono solo esempi, potrebbe essere lungo l'elenco di queste sottrazioni, di questo movimento "a togliere". Alla fine ti rimane in mano una scrittura di cui non puoi non riconoscere la perfezione realistica, ma che forse non sai più bene come definire teatrale, non si sa più bene cosa sia. Per questo, a volerlo raccontare, il testo risulta facilmente inafferrabile.

Alice Torriani, Milutin Dapcevic, Roberto Salemi, Sergio Romano, Laura Pasetti, Paolo Calabresi, Renato Scarpa, Bruna Rossi, Mauro Malinverno 

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Bozzetti di Maurizio Balò: il percorso verso la scenografia 

Dalla rassegna stampa

Uno spettacolo definitivo, tanto geniale e spiazzante da poter apparire superficiale, irritante, monotono. Uno spettacolo in bilico fra quotidianità ed estasi. Proprio come accade nella vita di ognuno di noi, in perenne dribbling fra giorni felici e noia. «Tre sorelle di Anton Cechov - spiega il regista Massimo Castri - è un testo durissimo, realista, che affronta un dramma attuale: l' incapacità da parte dell' individuo di creare una societas. La frase più famosa del testo "A Mosca a Mosca" non è tanto un' utopia, quanto il modo per sognare un futuro che altro non è che una ripetizione del passato. In fondo Cechov è stato il primo a capire che la solidarietà di cui tutti parlano, forse è soltanto un sogno, una cosa difficilmente realizzabile» [...] In Tre sorelle c' è un grande tavolo tondo con sedie. I fondali sono schermi luminosi a volte azzurri, a volte marroni, neri o gialli. Folgorante è il primo minuto di spettacolo. Gli attori, come personaggi in cerca di autore, entrano in scena uno alla volta, ciascuno ha una valigia con dentro forse i ricordi e i sogni di una vita. 

Roberto incerti, Società impossibile e sogni perduti ecco il mio Cechov, in La Repubblica 30 ottobre 2007

Primo atto, foto di prova, courtesy Angelo Di Genio

Miro Landoni, Bruna Rossi, Barbara Valmorin ph_Amato ATDR

Massimo Castri lavora [...] sul rallentamento, fin dalla prima scena. Anche qui l’impianto, firmato da Maurizio Balò, è di grande essenzialità e suggestione: una distesa di sabbia e ghiaia grigia punteggiata di detriti scuri, al centro un grande tavolo circolare che la anziana balia Anfisa (Barbara Valmorin) apparecchia con meticolosa lentezza, via via che in questa terra desolata vagamente beckettiana s’affacciano gli altri personaggi, ciascuno con la sua valigia, come gli omini di Magritte. Siamo molto lontani da ogni realismo di marca stanislavskiana: anche perché gli attori, più che costruire il personaggio dall’esterno, lavorando su una coerenza psicologica prestabilita, si lasciano trasportare dal testo – scena per scena, dialogo per dialogo – e dalle sue accensioni ora tragiche ora melodrammatiche. Più che agire, reagiscono al testo e alle sue provocazioni, agli sbalzi d’umore dei personaggi, ai loro scontri.

Ma aldilà di questa sensibilità dinamica all’istante (o forse proprio a partire da queste discontinuità), è ben percepibile il disegno d'insieme della regia. Emblematico è il cambiamento del colore dei fondali, che dagli azzurri e grigi iniziali approda nella scena dell’incendio a un nero cupo e luttuoso, sostituito nell’ultima scena - quella della partenza delle truppe e della catastrofe finale - da un livido giallo. È una lettura decisamente pessimista e struggente del testo, senz’altro filtrata dal crollo dei progetti utopici del Novecento: la fede in un futuro radioso, quella di cui si fa portavoce Veršinin (Sergio Romano) nei suoi ispirati monologhi, quelle aperture sognatrici che avevano fatto di Cechov una sorta di anticipatore profetico della Rivoluzione d’Ottobre, appaiono ormai come una beffa crudele, per lui come per le tre sorelle. Non è arrivato, dopo di allora, alcun futuro radioso, anzi sono arrivati i Lager, il Gulag e la Bomba. Al bianco e ai toni grigi che caratterizzano i costumi delle tre sorelle (e quelli degli altri personaggi) si contrappone la sguaiataggine sempre più colorata delle mises dell’arrivista e ipocrita Nataša di Alice Torriani [Claudia Coli]. Il progetto di felicità individuale e collettiva basato sull’amore per l’arte e per il prossimo, fondato sulla solidarietà e sulla cultura, si conclude con una catastrofe irrimediabile, schiacciato da una quotidianità implacabile e dai colpi del destino: a decretare il fallimento di questo progetto di emancipazione non sarà neppure l’intervento repressivo di un potere ottuso, ma piuttosto la debolezza di queste anime belle, il loro contegno, e in fondo la loro impossibilità di amare e di essere felici, che pagheranno a carissimo prezzo...

Oliviero Ponte di Pino, Una breve nota sull’attualità dei classici, ateatro webzine n.113, 22 novembre 2007

Roberto Alonge sullo spettacolo

Dalle prove 

Laura Pasetti, Bruna Rossi, Alice Torriani ph_Amato ATDR

Se c’è una chiave stilistica che è decisiva per Castri, questa è il realismo: da Euripide a Goldoni, da Ibsen a Pirandello – per citare i suoi autori preferiti – i suoi spettacoli hanno sempre un impianto realistico, a cominciare dalla scenografia. E invece, la prima cosa che emerge, in queste Tre sorelle, è un incardinamento solo molto parzialmente realistico. Sì, i personaggi sono vestiti in abiti vagamente ottocenteschi, i militari sono in uniforme, ma non c’è salotto, non ci sono mobili, ad eccezione di un tavolo rotondo; inizialmente non ci sono nemmeno sedie. I personaggi arrivano tutti insieme, ciascuno con una valigia in mano, e cominciano a sedersi sulle proprie valigie. C’è uno sfondo azzurrino, nel primo atto, ma nulla ai lati, dove le pareti nude restituiscono la realtà del nudo teatro. La scelta cromatica del fondale è la traduzione di una battuta di Irína, quasi ad apertura del primo atto, quando dice che vede stendersi sul suo capo «un vasto cielo azzurro». Nel quarto atto il fondale è giallo, perché è l’atto che sancisce la sconfitta collettiva delle tre sorelle e, per l’inverso, il trionfo di Natàscia, e giallo è appunto il colore del personaggio (di lei dice Màscia: «È capace di mettersi addosso una bizzarra veste d’un giallo vivo»), mentre secondo e terzo atto esibiscono un fondale nero. Sul palcoscenico «un arso e aspro territorio lavico» (Siro Ferrone, nella recensione sulla sua “Drammaturgia” informatica). Ho detto che i personaggi arrivano insieme, come un gruppo compatto, ciascuno con la propria valigia; e allo stesso modo ricompaiono alla fine del quarto atto, al punto di dividersi e scomparire. Castri suggerisce una struttura circolare, una fine che coincide con l’inizio. Rispetto all’intreccio, prevale un accento che esalta il gruppo, la comunità. 

Roberto Alonge, Castri bravo come Strehler: Le tre sorelle figlie del generale Gabler, in “Il castello di Elsino­re”, n.58, 2008, pp. 96-103

Roberto Salemi, Alice Torriani ph_Amato ATDR

Approfondimenti

BIBLIOGRAFIA

Roberto Alonge, Castri bravo come Strehler: Le tre sorelle figlie del generale Gabler, in “Il castello di Elsino­re”, n.58, 2008, pp. 96-103.

Thea Dellavalle, Con la valigia: Tre sorelle di Čechov nella messinscena di Massimo Castri, in "Il castello di Elsinore", n.58, 2008, pp.105-135.

Chiara Milesi, “Un combattimento con l’angelo”:  le Tre sorelle di Massimo Castri in Stratagemmi: prospettive teatrali, 2009, n. 12 pp.111-143.