Prove in palcoscenico

«Nella mia vita ci sono state due o tre persone a cui devo moltissimo. Una di queste è Massimo. Mi ha insegnato a leggere in profondità dietro le cose e dentro le persone. Non c'era uno come lui in grado di scavare nei sottotesti, quindi non solo nel testo come racconto, ma nell'anima dell'uomo. Un uomo, Massimo, che a vederlo lavorare in palcoscenico, ti rendevi conto: incantava e distruggeva tutti, ma soprattutto incantava. Alla fine rimanevano tutti incantati dal suo lavoro. Ti faceva vedere le cose con un occhio diverso, ed era sempre illuminante». 

Renato Borsoni, L’avventura di un teatro libero. Conversazioni con Paola Carmignani, Grafo, Brescia, 2014, p.9.


La parola, adesso, alle gemelle Marisa e Paola Della Pasqua, che hanno interpretato le parti del coro e dei Dioscuri. Come è stato l'impatto con Castri?

Marisa Della Pasqua: Sicuramente interessante, è un vulcano: lavora col sottotesto, con la parola, col gesto. Quasi non si riesce a stargli dietro, è viscerale e cerebrale al tempo stesso. E il suo modo di lavorare è talmente coinvolgente e istruttivo che, pur avendo una parte relativamente piccola, abbiamo seguito tutte le prove. Prima abbiamo lavorato a tavolino e poi in scena, poi ancora a tavolino e poi in scena, mentre di solito, una volta esaurito il lavoro a tavolino, si va in scena e non si tocca più il testo. Abbiamo fatto anche un po' di improvvisazione, che non si fa mai e che invece è utilissimo. 

Paola Della Pasqua: Il bello di tutta l'operazione è che lui ti impartisce un metodo di lavoro generale, universale per qualsiasi tipo di testo. Dire metodo Stanislavskij è riduttivo: parte dall'attore, da quello che si è, non ti tira fuori nulla che non hai già dentro. La sua idea di base è molto forte, ma è sempre modellata sull'attore che ha a disposizione. Castri lavora bene con i giovani perché hanno entusiasmo (e lui ne ha molto) e sono più duttili.


Qual è stata la difficoltà maggiore? Ci sono stati momenti di sconforto? 

M.D.P. e P.D.P.: Certamente, il momento di crisi è fondamentale nelle prove di uno spettacolo, poi lo si supera e si arriva a fare quanto richiesto. Abbiamo avuto tante piccole difficoltà, ma non una grossa in particolare. Castri è molto chiaro quando si spiega. Magari all'inizio non si riesce a dare quello che chiede, ma alla fine si arriva al risultato che vuole lui.

Il bilancio di questa esperienza?

M.D.P. Positivo, senza riserve. Castri ti dà gli strumenti di base per cui poi, seguendo la sua regia, e da lì non si scappa, hai la possibilità di fare il tuo lavoro e anche di divertirti, di "cambiare". Magari per il pubblico non ha nessun significato, ma per noi sera per sera sì. Infatti lo spettacolo ha continue  possibilità di crescere, non è mai finito, Castri potrebbe rimetterci in prova anche domani.

P.D.P.- Come ha fatto per la ripresa dopo la pausa natalizia noi pensavamo solo di ripassare la parte invece sono state prove utilissime che hanno cambiato ulteriormente lo spettacolo migliorandolo, come ci dicono spettatori che sono tornati a vederlo. 

Claudia Cannella, Lavorare con Ronconi e lavorare con Castri, in “Hystrio” 2, 1994 p. 22. 


Nelle foto, dalle prove di Oreste : Massimo Castri con Alarico Salaroli, Mauro Malinverno, Antonio Pierfederici (AMET)

A un certo punto delle prove si arriva a uno snodo inevitabile e pericoloso, in antitesi con l'assunto stesso dell’impostazione registica: dopo che una scena è stata provata e riprovata numerose volte, gli attori si trovano a recitare le battute in modo automatico, rendendo sì il sottotesto, i tempi e  i ritmi giusti, ma perdendo spontaneità e credibilità. 

È un momento molto delicato; la situazione di iniziale freschezza delle prove a tavolino, che ha creato un patrimonio di immagini riversato poi nelle prime prove in piedi, è ormai irrecuperabile e la funzione di raccordo e di guida del regista diventa ancora più importante: sta infatti a lui aiutare gli attori a ritrovare gli accenti perduti. Occorre rinnovare l'immaginario di fondo, scoprire del materiale fresco, non “macinato”, come è ormai divenuto quello usato finora.

Secondo Castri, per uscire da questo momento di impasse ci sono due tecniche "inferiori", empiriche: il regista confessa di non saperle descrivere chiaramente. Una è quella di modificare, variare le immagini usate, trovandone di simili che ottengano lo stesso effetto; un'altra è ridare freschezza a quelle iniziali, girando intorno al problema, cambiando il linguaggio, due punti, “riscaldando" le immagini finché non si riaccendono. [...] Castri decide di non riaffrontare il testo dall'inizio, ma dalla scena in cui l'attrice aveva dato, fin dall'inizio, più contributi, producendo in maniera spontanea un'interpretazione sentita: il lungo monologo, già analizzato, in cui Elettra insulta e prende in giro il cadavere di Egisto. 

Castri propone di ripartire da un grado zero, ricercando, riesaminando con umiltà le immagini primarie. Spiega di nuovo che in questa scena c'è in Elettra la paura dell'uomo nero, Cioè è giusto; lei è una bambina impaurita dall'adulto e perciò ha mandato un altro ad uccidere; poi si ritrova davanti l'adulto reso in offensivo e allora tutto il mondo del proibito le si apre e diventa possibile. In effetti Castri usa un trucco: parlando riattiva vecchie immagini, paragoni già usati, ma li ripropone variando dei particolari, cercando con attenzione la parola, l'aggettivo giusto, magari insieme a un'immagine nuova. Il regista torna a recitare lui stesso la parte, cercando di chiarire alla Ranzi certe intenzioni e sentimenti di fondo. Le chiede di ritrovare una maggiore tensione muscolare del corpo, facendole presente che all'inizio aveva una diverse corporeità: per esempio correva con fatica e goffamente in cima alla collinetta che chiude sul fondo la scenografia, mentre ora corre con scioltezza. Le suggerisce suoni e voci fonde, da ragazzo, per ricordarle il modo giusto con cui "timbrava" il personaggio nelle prime prove. Analizzando la battuta in cui Elettra dice: "Provo vergogna… eppure vorrei dire", Castri chiede all'a Ranzi di giocare su tonalità basse, dando l'idea che le parole vengano dal profondo: aggiunge di non voler dire quali siano le immagini che lui usa quando prova questa scena per non scandalizzarla. A questa battuta la Ranzi ride: Castri è riuscito a sorprenderla e, creando il contatto, a comunicarle una sensazione, sbloccandola. Continua poi a ribadire chiavi a temi già spiegati, per esempio che per Elettra il sesso è una cosa molto oscura, proibitissima, e per questo tutta la danza impacciata che ella costruisce intorno al cadavere, in cui arriva a provocarlo mostrandogli una gamba, assume, quasi una valenza di tenerezza.

Bianca Maria Ragni, Elettra di Euripide per la regia di Massimo Castri : lavoro teatrale e attivazione dell'immaginario dell’attore, in Biblioteca teatrale : rivista trimestrale di studi e ricerche sullo spettacolo, Roma, Bulzoni, n. 45/46/47 (gennaio-settembre 1998), pp. 94-95.

Foto di copertina: Massimo castri e Tino Schirinzi durante le prove di Rosmersholm ph_Tito Alabiso ACTB