Anni 70

L'approdo alla regia - Brescia La Compagnia della Loggetta - Nuovi tentativi di teatro politico: Liberovici, Jona e il teatro di radicamento - La riflessione su Brecht -  Scoperta di Pirandello e Ibsen - Dalla Loggetta al CTB - 1979 Così è (se vi pare)

Nel 1970 l'esperienza della Comunità Teatrale dell'Emilia Romagna si esaurisce, anche in seguito a una rottura dell'equilibrio con gli enti locali e al veto posto dalle istituzioni alla rappresentazione di Scontri generali di Giuliano Scabia, un testo sulle contraddizioni interne alla sinistra, scritto appositamente per la Comunità, ma ritenuto troppo critico dai dirigenti dell'ATER che della Comunità Teatrale sono sostenitori e finanziatori. 

Castri decide di concentrare le sue energie per concludere il percorso di studi universitari. Si  dedica alla scrittura della tesi, nonostante qualche interruzione per occasionali e, a volta fortuiti, impegni lavorativi, come testimoniano le lettere a Vito Pandolfi, divenuto il suo nuovo primo relatore di tesi in seguito al trasferimento di Castri all'Università di Genova. Anche l'argomento della tesi è cambiato.  Dopo alcuni assestamenti, Castri si orienta sul tema del teatro politico per la necessità di unire all'esperienza pratica la riflessione. Anche in virtù dell'interesse e dei riscontri positivi che la tesi riscuote, in questa fase che Castri stesso definisce di ripensamento, torna a prendere in considerazione la carriera universitaria. Per mantenersi lavora saltuariamente anche in radio, ancora con Quartucci a Torino (in Cartoteca e in Pantagruel), con Guicciardini, che lo chiama anche per la prima edizione fiorentina de La Clizia, e con la Compagnia della prosa della RAI di Firenze per cui è attore in una serie di radiodrammi.

Nel 1971, dopo la laurea, partecipa allo spettacolo Scontri generali di Giuliano Scabia che, dopo lo stop dell'anno precedente,  viene prodotto dalla Compagnia della Loggetta di Brescia. Una volta che il progetto trova una strada per concretizzarsi tramite l'interesse produttivo di Brescia, Castri non può che essere tra gli interpreti di quello che dovrebbe essere uno spettacolo a regia collettiva. Tuttavia, il clima è mutato e sulla questione della leadership si determinano scontri accesi con Scabia, sia durante le prove sia dopo il debutto alla Biennale di Venezia, dove lo spettacolo non ha un buon riscontro. L'evento segna una svolta nella vita di Castri al quale Renato Borsoni, responsabile artistico della Loggetta, che lo ha notato nel corso dell'allestimento, propone di preparare una regia per la stagione successiva. Non senza resistenze, Castri accetta ed esordisce alla regia con I costruttori di imperi di Boris Vian, di cui cura anche la traduzione, che debutta nel novembre del 1972 al Teatro Santa Chiara di Brescia. 

La tesi di laurea viene pubblicata da Einaudi nel 1973 con il titolo Per un teatro politico. Piscator Brecht Artaud, con una prestigiosa presentazione di Cesare Cases. Il volume, che ha un titolo che guarda al futuro, ad una realtà da costruire, come un'indicazione di metodo e un augurio insieme, si chiude con una sintesi dell'idea di teatro politico di Castri in questa fase: "teatro politico come interlocutore nei confronti della prassi politica, che cerca di evidenziare le contraddizioni dell'operare politico della sinistra, di evidenziarne gli arresti; teatro politico come "coscienza" dell'azione politica la quale si chiude spesso nel momento puramente tattico, dimenticando il fine da raggiungere; teatro politico come luogo di progettazione dei fini umanistici della trasformazione della società" (Massimo Castri, Per un teatro politico. Piscator Brecht Artaud, Einaudi, Torino 1973, p.280)

Alla ricerca di nuove forme che rendano concreta questa sua riflessione Castri si interessa al lavoro e alle metodologie di Sergio Liberovici ed Emilio Jona, con cui inizia una collaborazione. Gli spettacoli, caratterizzati da un'importante componente musicale curata da Liberovici, raccolgono tramite l'inchiesta e l'intervista storie e narrazioni delle comunità e dei territori, legandole ai vissuti e agli immaginari collettivi. A partire da una dimensione quotidiana e concreta i materiali vengono poi rielaborati in chiave teatrale. Su questi presupposti nasce Per uso di memoria commissionato dal Teatro Comunale di Firenze per il Maggio Musicale del 1972 in cui Castri è attore e autore della drammaturgia con Jona e Liberovici. 

In questa fase, l'idea di un teatro politico si concretizza e specifica dunque nel teatro chiamato di "radicamento", che si fa sul territorio e coinvolge il pubblico nel processo della creazione artistica. Nascono L'ingiustizia assoluta e È arrivato Pietro Gori anarchico pericoloso e gentile, realizzati con Jona e Liberovici tra il 1972 e il 1974 con il supporto degli enti locali della Toscana sotto la sigla del TPT (Teatro per un Territorio). Il ruolo di Castri però è mutato. Nel frattempo è diventato un regista. 

A Brescia queste istanze di poetica si incontrano con gli interessi di Borsoni allineandosi al filone del teatro documento, già inaugurato a Brescia dalla Mezzadri, e danno origine allo spettacolo Fate tacere quell'uomo!,  incentrato sulla figura dell'eretico Arnaldo da Brescia, faticosa collaborazione drammaturgica di Castri con Vasco Frati, accolto in città con molte polemiche. 

La collaborazione con la Loggetta diventa continuativa e più stabile dal 1974. La linea della direzione artistica è coraggiosa. Castri è coinvolto nella progettazione e nella programmazione e lavora su più fronti: spettacoli, per il territorio, spettacoli e progetti di animazione e spettacoli di repertorio su autori che permettano un discorso politico. Gli spettacoli del Teatro Popolare Toscano vengono assorbiti  e ripresi come produzioni, Castri allestisce Brecht (Un uomo è un uomo, e le operine musicali L'Accordo e Il consenziente ) e si mette alla prova con Shakespeare. La Tempesta contiene in sé semi preziosi: è forse il primo spettacolo di una linea metateatrale di un Castri che gioca con i linguaggi e il discorso sul teatro. I segni beckettiani che vi si trovano, torneranno in tante produzioni successive e il lavoro sulla coppia comica dei fools, l'immaginario sui clown sarà la base per la nascita del successivo Il Bianco, l'Augusto e il Direttore, uno spettacolo di cui Castri cura la drammaturgia ma che costruisce sperimentalmente con l'interazione e il lavoro in palcoscenico con gli attori (Ruggero Dondi, Salvatore Landolina e Pieremilio Gabusi) mescolando gag e riflessioni filosofiche e psicanalitiche sull' io-diviso. La linea di ricerca più direttamente "politica" ha però uno stop che arriva dall'esterno, i diritti di Brecht, di cui Castri vorrebbe allestire Baal, gli vengono negati dal Piccolo Teatro, così come quelli per Fede, speranza e Carità di Horváth. Malvolentieri Castri ripiega su un autore che non ama, Pirandello. I suoi strumenti critici applicati all'autore di Girgenti diventano esplosivi. Nel 1976 Vestire gli ignudi, lo consacra come regista e gli porta il plauso della critica, inaspettatamente anche di quella più tradizionale.

Fino alla metà degli anni Settanta Castri è anche molto attivo dal punto di vista della saggistica, portando avanti la riflessione sul teatro politico e su Brecht, oltre a ricevere autorevoli riconoscimenti sul suo lavoro di tesi, citato a livello internazionale (anche in ambiti distanti, ricordiamo Augusto Boal e Reinhold Grimm). Anche i suoi successivi interventi su Brecht gli valgono la partecipazione a diversi convegni e seminari e lettere di stima da parte di teatranti e accademici.

«Oggi forse per il teatro di Pirandello sui palcoscenici italiani il futuro è già cominciato. Si apre una terza maniera di riproporlo che è, sì, una conseguenza della seconda, ma riduttiva, in un certo senso, di segno negativo. Ne esce l'immagine di un Pirandello considerato, più che "coscienza della crisi" (è il titolo d'un saggio di Carlo Salinari), poco meno che un complice, sia pure irridente, di quella società di cui contestava, invece, valori e tabù. Certo, il teatro di questo autore si può "impugnare". Ma ne va anche rispettata la complessità a più strati, i vari gradi di rappresentazione della realtà che espone e finge. Teatro di parola (e di fantasmi), esso sopporta se mai operazioni di smontaggio e rimontaggio del suo concertato verbale e immissioni di violenza parodistica alla Meyerhold simili a quelle sperimentate recentemente da Massimo Castri in una sua edizione scenica, a Brescia, di Vestire gli ignudi. Allora casistica e grottesco di Pirandello possono visualizzarsi in una iterazione di momenti ossessivi e di simboli espliciti, a portata dell'ancora ipotetica grande platea d'oggi, popolare e giovane; e, rivelando i meccanismi di crudeltà celati negli schemi della commedia borghese scomposti nei suoi elementi strutturali, darci l'immagine di una società che è il nostro rimorso inconscio, come s'è detto e la nostra memoria: quella da cui siamo nati».  

Roberto De Monticelli, La via italiana a Pirandello, "Corriere della Sera" 10 dicembre 1976

La lettura sottotestuale di Castri, improntata allo strutturalismo e alla psicanalisi, in una chiave che viene definita strindberghiana per la crudeltà del rapporto maschile-femminile, fa emergere del testo di Vestire gli ingudi - un testo 'anomalo' e poco frequentato, come sottolinea lo stesso Castri - una versione inedita che rinnova radicalmente la percezione dell'autore. Castri continua dunque la sua ricerca dentro Pirandello. La vita che ti diedi - che porta all'incontro artistico di Castri con Valeria Moriconi - e il Così è (se vi pare) sono ancora due successi, due tappe ulteriori e altrettanto affascinanti dello scavo nel mondo poetico di questo autore che Castri tratta con libertà d'invenzione e di vera e propria ri-scrittura, facendo emergere contenuti e significati nascosti. I risultati sono sorprendenti dal punto di vista scenico e dal punto di vista dell'interpretazione critica. Per il Così è (se vi pare), che pure divide la critica, e per Rosmersholm (1980), primo spettacolo da Ibsen, Castri vince il premio Ubu alla regia nel 1980.

Il lavoro creativo di questi anni è anche momento di crescita e innovazione delle metodologie di lettura e analisi che ad ogni spettacolo si arricchiscono di nuovi strumenti e che trovano un riscontro fortissimo nelle drammaturgie "della crisi". Diverso è quando il metodo di Castri opera in relazione ad una drammaturgia contemporanea, di autore vivente e con un'idea di poetica e di teatro altrettanto forte e personale come è quella di Giuliano Scabia. Al debutto di Fantastica Visione, un testo inedito che arriva però in scena dopo essere passato attraverso il setaccio drammaturgico di Castri, l'autore scrive una lettera agli spettatori riportata nel programma di sala con la quale sostanzialmente si dissocia rispetto all'operazione compiuta, nella quale non si riconosce. Lo spettacolo, molto distante dal linguaggio metaforico ma in un certo senso "solare" di Scabia, è onirico e inquietante e traduce le ossessioni di Castri rispetto al tema della famiglia, al centro della sua ricerca in questi anni e che trovano ulteriore approfondimento nell'Edipo. Tratto da Seneca e filtrato attraverso la matrice degli Spettri ibseniani, lo spettacolo propone il mito di Edipo affrontandolo come un oggetto culturale, un personaggio (che è l'uomo in crisi solo e nevrotico e senza vera identità) frutto di un processo di costruzione - edipizzazione - che si sviluppa in varie età, operato dalla società tramite l'azione, differente nei mezzi, ma in ugual misura crudelmente terribile delle figure della Madre e del Padre. 

La poetica di Castri in questa fase è in dialogo costante con le sue contraddizioni e con i suoi fantasmi personali. 

La sua crescita artistica accompagna la crescita dell'ente. Mentre Castri "macina" regie, la Compagnia della Loggetta diventa Centro Teatrale Bresciano, ottiene il riconoscimento di Stabile e il finanziamento del Ministero; è una realtà atipica ma estremamente vitale e la presenza di Castri la rende innovativa e porta riconoscimento sul piano artistico. La spinta ad operare viene da una visione organica della politica e della politica culturale. Sembra possibile in questa fase inventare forme nuove di teatro allargando il proprio orizzonte da locale a nazionale con la speranza di poter cambiare le cose dall'interno come testimonia il convegno organizzato a Brescia nel 1979 dal titolo Il teatro italiano negli anni della ricostruzione. 

Dopo il Così è (se vi pare), troppo provocatorio e dir rottura rispetto all'immagine canonica del drammaturgo, Castri riceve un veto dagli eredi Pirandello per la messa in scena delle opere del metateatro sulle quali si era focalizzato il suo interesse. Il progetto artistico e produttivo si sposta, in accordo con il CTB, su Ibsen.

"...faccio qui riferimento alla definizione di Teatro Pubblico come servizio, concetto complesso certo: che però si è quasi sempre identificato con la distribuzione di "cultura" possibilmente a basso costo (un po' come le care e vecchie biblioteche circolanti: e "circolanti" sono poi realmente diventati i Teatri Stabili) ... Ma se di servizio si vuole ancora continuare a parlare, si deve trattare di un altro tipo di "servizio": non una generica distribuzione di prodotti meglio o peggio "confezionati culturalmente", non un servizio al di sopra delle parti, ma un servizio "dentro" la mischia, dentro la lacerazione dei codici, dei linguaggi e delle funzioni dello strumento teatro. Un "servizio" allora che si esprima nella "proposta" di strategie, nella invenzione di "metodologie" che tendano alla ricomposizione (attraverso una dialettica della prassi) del territorio frantumato del teatro, dell'immagine priva di connotati di uno strumento che va perdendo "identità": sul piano dei linguaggi, delle funzioni, e del doppio rapporto con il reale e con il fruitore. [...] Significa dilatare e modificare sostanzialmente il concetto di "servizio": ad esempio da offerta di prodotti ... a "offerta" di spazi operativi capaci di accogliere proposte metodologiche complesse ed articolate su tempi lunghi e gestite, su una base interdisciplinare, da più soggetti teatrali diversificati"

Estratto dall'intervento di Massimo Castri al convegno Il teatro italiano negli anni della ricostruzione, Teatro Grande di Brescia, 19 maggio 1979